La Conseguenza: recensione del melò postbellico con Keira Knightley

15 marzo 2019
3 di 5
7

Ottima la confezione, bravi e belli i protagonisti, ma la grande storia resta troppo relegata sullo sfondo.

La Conseguenza: recensione del melò postbellico con Keira Knightley

Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più bello (e appetibile) del reame? Jason Clarke marito devoto anche se introverso e un po’ scontroso, o Alexander Skarsgård, sexy, colto, ma nemico giurato perché tedesco e magari simpatizzante dei nazisti? Se La Conseguenza, che pure parla soprattutto di un triangolo amoroso, ruotasse semplicemente intorno a questo interrogativo da porre a Keira Knightley, sarebbe un film meno complesso di quel che effettivamente è, e sarebbe semplice etichettarlo come sunday movie per signore non giovanissime e amanti delle serie targate BBC e delle ricostruzioni storiche su grande schermo preferibilmente ambientate nell'Ottocento o nella prima metà del Novecento. In effetti, visto che c’è la Knightley, che ha recitato ne La duchessa, Orgoglio e pregiudizio e Anna Karenina, la tentazione di metterlo in quella casellina lì un po’ c'è, o comunque di classificarlo solamente come melò.

E invece, nonostante sembri, a tratti, Tutti insieme appassionatamente che incrocia The Crown (che sono ottimi prodotti, per carità), l'adattamento del romanzo di Rhidian Brook diretto da James Kent è anche una trepidante storia di rabbia, perdono, riconciliazione, rimosso che tempestosamente affiora.

In una grande casa piena di quadri e mobili spraffini, e coperta di neve proprio come un castello delle favole, quattro personaggi prendono infatti coscienza, confrontandosi, dell'impatto che hanno avuto sui loro poveri cuori perdite e tragedie individuali, e, attraverso l'amore e l'indulgenza, scoprono che è arrivata una nuova "ora zero", un momento in cui si può cancellare ciò che è stato - dopo averlo opportunamente metabolizzato - e ricominciare. Il nuovo inizio ha la sua ragion d'essere nella fase storica in cui i signori Morgan e il signor Lubert (proprietario della magione) e la sua giovane figlia si trovano a vivere, che è il 1945. Siamo ad Amburgo, città devastata dai bombardamenti nel 1943 e ancora in ginocchio.

Ora, la Conseguenza sceglie di mostrarla poco, preferendo chiudersi in salotti e camere da letto o indugiare nei boschi. La grande storia, insomma, il film la relega sullo sfondo, ed è un peccato, perché il dilemma fra punizione e perdono che fa vacillare gli inglesi o gli atti sovversivi degli ultimi seguaci di Hitler erano spunti interessanti da sviluppare, tanto più in tempi di nuovi focolai reazionari sparsi per l'Europa (e lo stesso regista ha dichiarato la sua intenzione di denunciare l'intolleranza e il pregiudizio dell'oggi nei confronti di ciò che non si conosce). Più che calcare la mano sulla disperazione dei "vinti", si poteva cogliere con maggiore cura l'implacabilità della guerra, e fotografare con più sottigliezza l'istante di passaggio fra la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda. E invece la pietas di Kent è tutta per i suoi tre protagonisti (Freda Lubert rimane sullo sfondo), anzi per Keira/Rachel, che poi è il punto di vista del racconto.

Purtroppo, la transizione dal suo odio per il padrone di casa ad una travolgente passione è troppo brusca, e forse la "chimica"  fra i due attori non è delle migliori. Che entrambi singolarmente abbiano una notevole carica erotica ce lo dimostrano Espiazione per la prima e Big Little Lies per il secondo, ma insieme la Knightley e Alexander Skarsgård fanno poche scintille. E tuttavia la prevedibilità dell'illecita relazione che li coinvolge in qualche modo ci rassicura, perché a volte desideriamo che le cose vadano esattamente come devono andare. E poi nessuno dei due sbaglia mai una scena, o una battuta, e gli amanti del bello di certo andranno in sollucchero per i modi gentili e il fascino nordico di lui e per i cappottini, le messe in piega e le camicie da notte in seta di lei.

Ebbene sì, La Conseguenza farà sicuramente la gioia degli esteti o dandy, e dei costumisti, oltre che di quanti giustamente si indignano quando vedono il bravo Jason Clarke relegato al rango di caratterista. Qui l'attore è alle prese con il personaggio più difficile, che è anche quello dotato di maggiore finezza psicologica, dal momento che, fra le altre cose, ha peccato di anaffettività. La sua tridimensionalità viene fuori in particolare nella parte finale del film, che poi è la migliore, la meno patinata, la più spontanea e… la più inattesa.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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