L'ombra del giorno: la recensione del film di Giuseppe Piccioni con Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli
Giuseppe Piccioni racconta il fascismo e soprattutto una storia d'amore ne L'ombra del giorno, senza mai cedere al sentimentalismo e parlandoci indirettamente dell’oggi. I protagonisti sono Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli.
Chi non è mai riuscito a trasformare in poesia delle immagini il sentimento che legava Paolo e Francesca o Euridice e Orfeo dirà che parlare d’amore al cinema è banale. Noi crediamo invece che sia difficile e bellissimo, perché sono stati i film d'amore a nutrire il nostro immaginario e a infilarsi fra le pieghe della nostra anima molto più di altri: storie struggenti come Casablanca, Come eravamo, Il Dottor Zivago e Breve incontro, che con i loro palpiti ancora ci emozionano e con i loro finali spesso tragici ci fanno piangere fino alla catarsi.
Non è alle lacrime, però, che ha puntato Giuseppe Piccioni quando ha inventato i personaggi di Luciano e Anna e li ha fatti innamorare ad Ascoli Piceno nell'Italia fascista della fine degli anni Trenta. Non ha ceduto al sentimentalismo il regista di Fuori dal mondo e Luce dei miei occhi, un po’ perché è fra i pochi che sanno affrontare il melò senza fare Catene o City of Angels, un po’ perché ad animarlo era soprattutto l'urgenza di raccontare un'epoca da un lato ricca di fascino e dall'altro così simile, per alcuni aspetti, alla nostra.
Oltre a dirci, fra le righe, che la democrazia è minacciata dal levarsi di voci che chiedono giustamente di essere ascoltate, Piccioni fa propria la stilosa iconografia del Ventennio senza scivolare nel clichè e, come Scorsese ne L'età dell'innocenza, indugia su abiti, oggetti, cappellini, forchette d'argento e stoviglie piene di minestra color giallo pallido. Contento di girare nella sua città, il regista confina gran parte della vicenda nei locali di un ristorante, dando vita, come lui stesso ama dire, a un kammerspiel che non è claustrofobico, perché i personaggi si muovono continuamente fra sala da pranzo, cantina e cucina, salendo scale quasi fossero in un famoso quadro di Escher. Si spostano furtivamente, colpevolmente e silenziosamente, perché quando c'era il Duce, ogni parola poteva essere l'ultima e, se non si apparteneva alla razza giusta, si finiva su un treno che non era certo l'Orient Express. Quando c'era lui, si osservava e ci si sentiva osservati, e per questo L'ombra del giorno è al 100% un film dello sguardo, o meglio degli sguardi, sguardi che oltrepassano le vetrate del ristorante di Luciano proiettandosi verso un "fuori" che a sua volta cerca di invadere il "dentro". Solo chi sa muovere la macchina da presa e ha un'idea precisa di regia può permettersi una simile sottigliezza, e i piani d'ascolto ci rimandano occhi da cui traspaiono paura e incertezze, le stesse che proviamo tutti noi in questi mala tempora nei quali a decidere sono ancora in pochi.
Al di là della passione su cui è incentrato e che lo allontana necessariamente dal didascalismo e dalla lezioncina politica di alcuni drammi in costume, L'ombra del giorno non ha nulla di freddo, di documentaristico né di finto. Pensando a Luciano con i suoi baffi e il suo garbo, o ad Anna con la sua lotta interiore fra sentimento e dovere morale, abbracciamo con estrema facilità la "grande" storia, che diventa non quella che abbiamo letto sui libri, ma quella che ci hanno raccontato i nostri nonni, cantandoci "Come pioveva" o "Parlami d’amore Mariù" o narrandoci della terribile occupazione tedesca. Si avverte benissimo la familiarità di Piccioni con alcuni eventi, e ciò garantisce al film un ottimo equiibrio fra "pancia" e "testa". Ma forse in questo c'è lo zampino di Scamarcio produttore, che ama l'azzardo, che si affida all'istinto e che ci regala qui la sua migliore interpretazione. Da tempo Riccardo "ha fatto il salto", e il ragazzo riccioluto con gli occhioni di quasi 20 anni fa ha lasciato il posto a un uomo maturo e a un attore misurato e consapevole.
E’ un film che vibra L'ombra del giorno, non solo perché la tensione è sempre alta, ma anche perché è stato girato in una zona rossa durante la pandemia. Giuseppe Piccioni ha sfruttato il clima quasi da fantascienza post-apocalittica delle location esterne, e i deserti cittadini sono entrati nel film, che tuttavia ha reso omaggio al nostro cinema più bello e più classico, quello di Monicelli e Risi, il cinema in cui, insomma, se appare una pistola, a un certo punto sparerà, come insegnava Age nella bibbia degli sceneggiatori "Scriviamo un film". Age non scriveva da solo, e nemmeno Piccioni, che ha lavorato in team non solo con i co-sceneggiatori, ma, più tardi, anche con la troupe e il cast, che gli ha regalato molto più di una semplice performance attoriale. Al regista, che ci ha cullati e incantati con scene quasi oniriche di ginnaste ragazzine, è arrivato il calore umano Riccardo, di Benedetta Porcaroli, di Valeria Bilello, di Lino Musella e di Sandra Ceccarelli, che hanno degnamente "servito" il cinema "lanciando il cuore in avanti". Chi lo ha lanciato più lontano è stata la Porcaroli, a cui è toccato in sorte un personaggio splendido e complesso al quale l’ex Emma di Baby ha dato spessore e femminilità, carattere e una sottile malinconia, oltre alla giusta dose di girl power. Così giovane e così esile, l’attrice ha compiuto un passo importante, e ci fa piacere che abbia anche trovato l’amore vero. Perché l'amore, alla fine, è la cosa più bella che ci sia. Ecco perché bisogna parlarne al cinema.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali