L'altra metà della storia - la recensione del film con Jim Broadbent e Charlotte Rampling
Tratto da un romanzo di Julian Barnes e diretto da Ritesh Batra è un film che parla del tempo, della memoria e della percezione del passato.
Tony Webster, un uomo sulla settantina da tempo divorziato, con una figlia che sta per partorire, conduce una vita da tranquillo pensionato nel suo negozietto di macchine fotografiche rare. La sua vita cambia quando la madre di Veronica, una sua ex di gioventù, gli lascia una misteriosa eredità. Per venire a capo di cosa si tratta e del motivo per cui l’ha ricevuta dovrà imbarcarsi in una quest dolorosa nel suo passato.
"Il passato è una terra straniera. Fanno le cose in modo diverso laggiù" era l'incipit folgorante di Messaggero d'amore, romanzo e film. Nel nostro passato siamo spesso viandanti sperduti, perché quello che ne sappiamo e su cui abbiamo costruito la nostra identità è quello che ricordiamo. E i ricordi col tempo vengono filtrati, falsati e cancellati, per aggiustarli alla nostra coscienza. Invecchiare significa anche fare i conti con la propria capacità di essere onesti e confrontare la nostra memoria con quella degli altri, che può essere dissonante e costringerci ad affrontare azioni e parole che abbiamo convenientemente rimosso. Sono questi alcuni degli affascinanti temi su cui è incentrato il film L’altra metà della storia, tratto dal romanzo breve “Il senso di una fine”, vincitore nel 2011 del prestigioso Booker Prize e scritto da uno degli autori inglesi contemporanei più importanti, Julian Barnes.
Un libro, come molti, narrato in prima persona e diviso in due parti distinte tra passato e presente, e perciò difficilmente trasferibile in immagini. Riescono ad aggirare in parte l’ostacolo il regista Ritesh Batra e lo sceneggiatore Nick Payne, commediografo, che tradiscono la fonte solo in un finale che - contrariamente al romanzo - è più ottimistico e concede la redenzione al protagonista. Ma il cinema ha le sue ragioni che la letteratura, nel suo approccio al singolo lettore e alla sua immaginazione, può bellamente ignorare, per cui è il film che ne nasce che siamo chiamati a giudicare.
La necessità di eliminare la voce narrante costringe gli autori a ricorrere a continui e non sempre organici flashback, via via che il protagonista racconta alla ex moglie la sua versione della vicenda o ricorda episodi avvenuti nel passato. Jim Broadbent, uno dei migliori caratteristi del cinema britannico, riesce ad infondere simpatia al personaggio di un uomo chiuso, isolato e testardo, che si riapre solo quando scopre che una sua lettera di rabbiosa reazione ha avuto conseguenze che hanno cambiato in modo irreversibile la vita di un amico e della ragazza che amava. Certo, non tutto è chiaro nella storia e il colpo di scena – la costruzione del racconto ricalca quella di un thriller psicologico – è troppo improvviso per essere assimilato quando accade e lascia aperti molti interrogativi.
Basta (ri)conoscere le proprie colpe per essere perdonati e, soprattutto, perdonarsi? Non è mai troppo tardi per aprire gli occhi sugli altri e cambiare una vita egocentrica e chiusa al mondo esterno? Tony sembra il personaggio di una fiaba: al posto del gigante egoista c'è un omino concentrato su stesso, che non ha mantenuto le promesse di gioventù e passa il tempo in una botteghina piccina picciò di macchine fotografiche che non si fanno più e con prezzi tanto alti che probabilmente, e di proposito, non si vendono. Ha una ex moglie che ne sopporta gli sfoghi e una figlia single che sta per partorire, è caparbio e noioso e ignora cellulari e social come modo per restare in contatto col mondo. La tragedia di cui è stato involontariamente causa, a distanza di cinquant’anni, lo rimette in gioco con gli affetti a cui tiene di più. Non altrettanto fortunata è stata la sua ex, che ha dovuto fare i conti – e li fa ancora – con un doppio tradimento.
Anche se la sua partecipazione è limitata a poche scene, colpisce la raffinata capacità di Charlotte Rampling di creare un personaggio credibile, la cui vita è descritta alla perfezione dalle espressioni del volto, i suoi mezzi sorrisi e il linguaggio del corpo. Nell’ottimo cast si affacciano anche dei volti noti di Downton Abbey, come Michelle Dockery e Matthew Goode e l'ottima Harriet Walter nel ruolo della paziente ex moglie. Fa una fuggevole apparizione nella parte della madre anche la Jane Banks del futuro Mary Poppins Returns, Emily Mortimer. A mancare all'insieme è una coesione di base che un regista più esperto avrebbe sicuramente saputo dare. Come spesso accade con le trasposizioni letterarie al cinema, L’altra metà della storia probabilmente scontenterà i lettori ma incuriosirà una parte del pubblico, spingendolo a leggere il romanzo e a riflettere sui temi che ci accomunano nella nostra vita di fragili e fallibili esseri umani.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità