Joker Folie à Deux: la recensione del film con Joaquin Phoenix e Lady Gaga

04 settembre 2024
3.5 di 5

Un sequel altrettanto cupo e capace di trovare una chiave coerente per rappresentare la bipolarità carisma/depressione di questa versione inconsueta del personaggio della DC Comics. La recensione di Mauro Donzelli di Joker: Folie à Deux presentato in concorso a Venezia.

Joker Folie à Deux: la recensione del film con Joaquin Phoenix e Lady Gaga

Erano tutti Joker, una rivoluzione di mascherati pronti a cavalcare il male di vivere di un individuo, Arthur Fleck, invadendo le strade. Così li avevamo lasciati, alla fine del primo Joker di Todd Phillips, esploso in mano anche a lui e diventato inatteso trionfo di critica oltre che di pubblico, con undici candidature all’Oscar, un Leone d’oro e la trasformazione dello scaltro autore di commedie alla Una notte da leoni in un front runner da festival e stagione dei premi. Ovviamente l’interpretazione di quel talentaccio di Joaquin Phoenix aveva aiutato, capace di rappresentare la sequela di drammi infantili e trasformarle in smorfie rabbiose, al sapore di sorrisi da folle, in età adulta. A proposito di follie, qui le fanno in due, visto che la caratteristica principale di Joker: Folie à deux è che dalla dilatazione nelle strade della sua follia, questa volta si torna a rinchiuderla dove forse sarebbe meglio contenerla, in carcere, e sottoposta a processo.

Ma non è più solo, ora per la prima volta si sente amato, da Harley Quinn che appare con le fattezze di Lady Gaga, il che aiuta visto che la schizofrenia, lo sdoppiamento della personalità bipolare caratteristica del personaggio, questa volta si tramuta, dal punto di vista della messa in scena, in una serie di intermezzi alla vita fra le sbarre e in aula di tribunale, il cui il mesto Arthur Fleck che rischia la pena di morte per aver ucciso cinque persone (forse sei) ritorna Joker. Al ritmo di coreografie divertenti e versioni personali di canzone inserite con costrutto, capaci di accompagnare stati d’animo e sottolineare svolte narrative e speranze, come l’innamoramento di Lee e Joker. Almeno fino a che si rimane nel terreno della risata sardonica, dei colori e del palcoscenico con pubblico in estasi, del “That’s Entertainment”.

Della maschera, insomma, la cui caduta improvvisa potrebbe provocare la fine delle rivoluzione e anche della seduzione mediatica. Nell’era della vitalità e delle rivoluzioni fatue, Joker sottopone al giudizio della corte e del pubblico la sua forza di credere di nuovo nella vita, attraverso l’amore e la risata, soffocando il pianto e la grigia sagoma di un corpo che da clown diventa pupazzo di cartapesta, tutto all’ingiù e ritentato dallo spararsi un colpo di pistola in testa. Per non parlare della reazione della folla a un Joker che rifiuta le regole dell’entertainement per tornare Arthur. Rimane una visione a dir poco cupa della folla e dei rischi di continue derive, di contagio della follia, dall’individuo alla società tutto. Phillips non può che prendere atto di un mondo che in questi quattro anni non è certo rinsavito, ma al massimo è sempre più sull’orlo della follia.

Le canzoni sono ottimamente inserite come contraltare dei passi a due dei protagonisti, Phoenix conferma la funzionalità della sua voce roca per il canto che aveva dimostrato quantomeno in Quando l’amore brucia l’anima. Sulla sua capacità di precipitare fra gli abissi della disperazione e le vette sregolate del carisma distruttore non avevamo certo più dubbi. Joker: Folie à deux ha trovato una chiave per proseguire con coerenza e potenza lungo gli stilemi del primo capitolo, si fa seguire con raccapriccio e tensione, anche grazie a una parte conclusiva in cui emergono le giuste scelte di sceneggiatura e quella patina di nichilismo che permane dissacrante.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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