Il più grande sogno: recensione del film di Michele Vannucci con Mirko Frezza e Alessandro Borghi

04 settembre 2016
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realismo e non neorealismo, ma anche melò e commedia.

Il più grande sogno: recensione del film di Michele Vannucci con Mirko Frezza e Alessandro Borghi

Lontano dalle zone periferiche colonizzate da Mafia Capitale e dalle ville kitsch e finto-antico di Ostia, lontano dall’epicità del cinema sia vecchio che nuovo che racconta (in forma di noir o di tragedia classica attualizzata) più o meno giovani ragazzi di vita, lontano da Numero 8 di Suburra, insomma, e dal romanesco del Dandy - e forse più vicino alla Roma di Accattone - Michele Vannucci colloca il viaggio verso la normalità di un apparente predestinato: Mirko, pirata non dei Caraibi ma de La Rustica che naviga in mezzo alla devastazione di una borgata in lenta ricostruzione e rischia di infrangersi ancora una volta - sospinto da una tempesta interiore - contro gli scogli dell'illegalità.

E' un personaggio a tinte forti, intenso (anche se non estremo) ispirato a un uomo che esiste per davvero e che il regista ha conosciuto, profondamente amato e seguito con taccuino e registratore proprio come facevano i buoni documentaristi di una volta. Ma attenzione: Il più grande sogno non va confuso nemmeno per un istante con un documentario travestito da opera di fantasia o con un tentativo di rifare il Neorealismo. Certo, la verità è giustamente sempre dietro l'angolo, c'è una recitazione ora da attore ora da non attore e un pedinamento quasi continuo, ma c'è anche il consapevole ricorso alla commedia e al melò, utilizzati con la giusta asciuttezza e con un'ingenuità solo apparente, perché specchio di una sincerità assoluta e della fragilità, del rinnovato candore e della goffaggine di un orso buono che non sa  se meritare o meno un futuro e addirittura un presente e si trova a tornare padre.

Probabilmente di storie di riscatto simili alla vicenda di Mirko ne esistono già molte, e molti sono gli ex galeotti che tentano, in film più o meno cupi, di non sprofondare nelle sabbie mobili dei vecchi errori, ma quell'odioso senso di predestinazione e ineluttabilità che rende artificiosi tanti "romanzi criminali" e che nega per principio ogni happy ending, qui viene felicemente evitato. Così come il pulp ad ogni costo. Anzi, lo stile è "sporco" e trasforma ogni scena, per quanto poetica, quasi in una sequenza d'azione. Meno Male!

Forse anche da un punto di vista estetico Il più grande sogno paga inconsapevolmente qualche tributo a illustri predecessori, però c'è, coraggiosa, la ricerca di un'identità, registica e creativa da una parte, interiore e umana dall'altra. E non è poco. E poi, contemplando una piccola comunità di persone che cercano la felicità in una quasi-miseria comunque dignitosa, si avverte della tenerezza.

E' bella, oltre al protagonista, la restante umanità del film, nei suoi ripensamenti, nella dolcezza quasi infantile della moglie di Mirko che ancora ama il suo Nettuno che diventa presidente di quartiere, e perfino nella difficoltà di esprimersi di Boccione, altro personaggio a tutto tondo che può liberare Alessandro Borghi dalla maledizione di non sentirsi ancora un attore con la "M" maiuscola. E invece il Vittorio di Non essere cattivo è una stella che brilla, in questo caso non nel cielo, ma in un orto dove far crescere i pomodori, simbolo di un mondo da rimettere in sesto: tenacemente, lentamente, day by day.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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