Il giovane Karl Marx: recensione del film biografico di Raoul Peck

04 aprile 2018
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Inevitabile che buona parte del racconto di come il filosofo ed Engels arrivarono alla stesura del Manifesto del Partito Comunista riecheggi questioni contemporanee.

Il giovane Karl Marx: recensione del film biografico di Raoul Peck

Forse è solo suggestione, o paura, o chissà che, ma fin dall’inizio del film, quando partono le didascalie che sintetizzano la situazione politica ed economica dell’Europa del 1843, non puoi fare a meno di pensare che Raoul Peck racconti di ieri per parlare di oggi.
Ma non nel modo banale che si potrebbe immaginare, spingendo sul pedale di come e di quanto la filosofia marxiana e la politica marxista debbano o meno risultare l’unico o il più robusto antidoto ai mali del presente.
No, perché sotto a Il giovane Karl Marx, sotto alla ricostruzione biografica apparentemente così classica, lineare e didascalica, sotto a quello che - filosofia e politica a parte - è un film in costume anche abbastanza avvincente, e che gestisce con grande naturalezza la questione linguistica imprescindibilmente legata a intellettuali tedeschi che vivevano e comunicavano in Francia e in Inghilterra, Peck fa risuonare molte più cose.
Quanto il regista di Haiti fosse in grado di intersecare con naturalezza ed efficacia le esigenze del cinema con quelle della politica e del pensiero, lo avevamo già capito col film in cui ha riportato di scottante attualità la figura di James Baldwin, I Am Not Your Negro.
Dalla questione razziale, quindi, passa a quella sociale ed economica: che nel 1843, con le monarchie assolute aggrappate ai loro privilegi, la crisi economica, le carestie, e soprattutto con il nuovo paradigma imposto al mondo dalla Rivoluzione industriale, era tesissima.
Forse ancora più di quando non sia oggi, dove al posto delle monarchie assolute ci sono i nuovi regimi sovranisti, dove la crisi sembra tutt’ora imperante, e dove non si fanno ancora i dovuti conti con le conseguenze di un’altra rivoluzione non meno dirompente di quella industriale come quella legata al digitale e alla rete.

Questo, pare evidente, è uno dei punti sui quali Peck spinge maggiormente nel suo film.
Il giovane Karl Marx, che ha l’intelligenza di non fare un santino del suo protagonista, e di non essere un film “militante” nel senso più scontato del termine, racconta principalmente di come Marx ed Engels cambiarono radicalmente la concezione di comunismo, passando dal principio dell’uguaglianza universale a quello della differenza inconciliabile tra le nuove classi sociali nate con la rivoluzione industriale: padronato e capitale da un lato, proletariato dall’altra.
Certo, Peck non sta a fare espliciti paralleli, ma sarebbe sciocco - come è sciocca buona parte della politica che ci circonda, di qualsiasi segno o matrice ideologica essa sia - non rendersi conto che il regista parla anche di quelle trasformazioni della società arrivate con la rivoluzione digitale di cui ci si ostina a non tenere conto.
Capito questo, allora, diventa evidente come le varie scene che compongono Il giovane Karl Marx, con quei passaggi magari vagamente legnosi in cui si fanno incontrare tutti i protagonisti del dibattito filosofico e politico dell’epoca, non sono funzionali solo a un racconto cinematografico, o all’esigenza narrativa di spiegare come Marx ed Engels siano effettivamente arrivati alla stesura del Manifesto del Partito Comunista, ma a qualcosa di più.
Qualcosa che emerge in tutta la sua carica dirompente in una scena chiave, e in maniera più sottile in una che invece passa quasi inosservata nel finale, qualche minuto prima dei titoli di coda sulle note di “Like a Rolling Stone” di Bob Dylan.

Nel primo caso, nel corso di una riunione, Marx irride l’utopista Weitling e, indirettamente, il borghese Proudhon, alterandosi sensibilmente di fronte alle litanie egualitariste di quei proto-comunisti che spiegavano la necessità della rivolta ma non del perché della stessa: per lui era impensabile, infatti, parlare al popolo senza aver strutturato una dottrina costruttiva, una base teorica positiva che fornisse le fondamenta al pensiero e, quindi, all’azione.
Il suo grido “L’ignoranza non ha mai aiutato nessuno” risuona attualissimo alle nostre orecchie, abituate oramai a una politica che dell’ignoranza fa bandiera, e che sembra procedere per slogan e tentativi, con un “profeta ispirato” da un lato e “idioti sprovveduti” dall’altro, senza mai impegnarsi in una costruzione teorica capace di leggere il presente al fine essere propulsiva verso il futuro.
La seconda scena, in apparenza meno esplosiva e assai più nonchalante, vede protagoniste Jenny von Westphalen e Mary Burns, le mogli di Marx ed Engels, mentre i due uomini discutono in riva al mare.
Mary l’unica vera proletaria del gruppo, parla con tranquillità all'amica dei figli non avuti e di quelli che eventualmente potrà dare al marito sua sorella minore, “che non vede l’ora”: e nella reazione imbarazzata e quasi scandalizzata di Jenny c’è la frattura di un nuovo versante politico, quello che passando per l’economia traccia anche il segno di differenze di pensiero che riguardano quello che oggi chiamiamo l’orizzonte dei diritti, e dell’etica sociale e familiare.
Ma quello, forse, è un’altro discorso ancora, e chissà che Peck non ci torni su, a modo suo, in un film ancora da venire.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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