Gli spiriti dell'isola: la recensione del film di Martin McDonagh con Colin Farrell e Brendan Gleeson

05 settembre 2022
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Un'isoletta irlandese e una solida amicizia che si sfalda, un potente apologo sulla follia delle guerre personali e collettive, un ritratto dell'Irlanda e delle sue contraddizioni, il tutto in chiave dark e ironica. Gli spiriti dell'isola segna il ritorno alla regia di Martin McDonagh con Colin Farrell e Brendan Gleeson.

Gli spiriti dell'isola: la recensione del film di Martin McDonagh con Colin Farrell e Brendan Gleeson

“Non mi piaci più. Ti trovo noioso”. Finisce così, per decisione di Colm, un giorno come gli altri, l’amicizia fraterna con Pádraic. Siamo in un’isola immaginaria a poco dalla costa irlandese, negli anni ’20, mentre si sentono ogni tanto in lontananza i cannoni sparati dalle parti in lotta nella Guerra civile irlandese. Pádraic (Colin Farrell) la prende male, è una persona mite, considerato il buono del villaggio e cerca ostinatamente di riguadagnare la compagnia e l’amicizia di Colm (Brendan Glesson), burbero musicista che non vuole più perdere tempo con chiacchiere inutili e dedicarsi a comporre musica e suonarla con il violino nel pub dell’isola. La remata isola, poche case e pochissimi abitanti, perde la sua pacifica quotidianità fatta di pettegolezzi e bevute. 

Spaesati dall’interruzione brutale di una fratellanza che sembrava inscalfibile, assistono con crescente sbalordimento, prima pensando si tratti di una cosa passeggera se non scherzosa, mentre il film presenta personaggi e contesto con pennellate divertenti e ficcanti. Poi la spirale si incupisce sempre di più, mentre l’ostinazione di Colm si trasmette anche all’amico. Ad assistere con differente partecipazione, la sorella dell’abbandonato, Siobhan (Kerry Condon) e il matto del villaggio, Dominic (Barry Keoghan), il figlio del poliziotto del villaggio.

Dei colpi risuonano, ne Gli spiriti dell'isola, provocati dall’uomo: colpi di cannoni, il rintocco delle 2 del pomeriggio che richiama alla migrazione al pub, il seme della discordia lanciato contro la porta di una casa. Poi ci sono quelli della natura, meravigliosa e ignorata dall’ignavia umana e dalla rassegnata indifferenza degli animali, che non possono che mantenere fedeltà ai loro padroni. È straniante il contrasto fra la bellezza struggente degli scenari, sempre proiettati verso un orizzonte a perdita d’occhio, e l’oppressione che soffoca sempre di più i personaggi. La risata si fa sempre più beffarda.

Martin McDonagh torna a lavorare con la coppia Gleeson e Farrell a distanza di quasi quindici anni da In Bruges. Qui non sono in trasferta, ma nel cuore dell’anima ancestrale irlandese, in un posto tanto remoto quanto capace di catalizzare le contraddizioni di una terra meravigliosa e complessa. Determinazione che diventa cocciutaggine, in una parabola spietata sulla follia umana, sulla disperazione che ci blocca sul baratro della nostra mortalità, sull’incapacità di individuare altro che capriccio o arbitrio nella genesi di spirali di (auto)distruzione che diventano irrefrenabili

Religione, superstizione, ordine costituito: tutto assiste indifferente o complice a questa deriva paradossale, presagio di sventura e maledizione senza via d’uscita. Se non nella fuga. Gli spiriti dell’isola è uno straordinario affresco capace di partire da due giocatori in campo in un terreno di gioco della più remota periferia e renderli pedine archetipiche di un destino ineluttabile. Il film definitivo sull'Irlanda in lotta fratricida, senza sparare un colpo o mostrare una divisa.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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