Giù le mani dalle nostre figlie - recensione della commedia con John Cena e Leslie Mann

17 maggio 2018
1.5 di 5

Dove si scopre, tra battute equivoche e situazioni inequivocabili, che il Cinepanettone è un genere tutto americano.

Giù le mani dalle nostre figlie - recensione della commedia con John Cena e Leslie Mann

In una celebre scena di Stand by Me (racconto e film) il futuro scrittore Gordie Lachance (Wil Wheaton), racconta la storia di un ragazzo molto grosso, Lard Ass Hogan (Sacco di lardo in italiano) che partecipa a una gara di mangiatori di torte. Lo fa in realtà non per vincere, ma per vendicarsi di chi lo bullizzava. Si prepara quindi prima bevendo olio di ricino e ingerendo cibi e nel bel mezzo della competizione vomita sui concorrenti che a loro volta vomitano sulle persone che assistono alla gara che iniziano a vomitarsi addosso a vicenda. Una scena che sì, forse faceva schifo, ma era anche divertente, perché era una tipica storia da e per ragazzini, quando le cose più sono schifose e più fanno ridere. Ne Il senso della vita dei Monty Python il gigantesco signor Creosoto di Terry Jones, a cena in un elegantissimo ristorante, vomita ripetutamente in un secchio e dopo un pasto pantagruelico, a causa di una mentina, esplode addosso ai commensali. E' una scena disgustosa, ma al tempo stesso geniale e spassosa, rimasta celeberrima

Ecco, forse qualcuno avrebbe dovuto dire agli autori di Giù le mani dalle nostre figlie che far vedere sei diciottenni dentro una limousine che si vomitano addosso non è divertente, fa solo schifo. E resterà un mistero perché Kay Cannon, produttrice e autrice tra gli altri di serie di qualità come 30 Rock, abbia deciso di debuttare alla regia proprio con questo film. Forse l'avrà tratta in inganno il riferimento alla libertà sessuale e all'autoderminazione delle donne, o quello  di rito all'omosessualità, o magari la presenza tra i genitori gelosi delle figlie anche di una mamma, ma sono solo specchietti per le allodole, perché si tratta di un film con una visione dell'umorismo completamente maschile (certo, del livello più elementare).

Gli sceneggiatori Jim e Brian Kehoe – la cui opera prima si intitolava non a caso The Hand Job – lo hanno infarcito di battute da caserma, situazioni imbarazzanti per gli attori e volgarità assortite in quello che finisce per sembrare una variante demenziale dei cari vecchi teen movies sul Prom (il famoso ballo di fine liceo) e perfino di horror come Carrie e Prom Night, e che fa sembrare castigati e trattenuti al confronto i film della serie di Porky's (dietro ai quali dopo tutto c'era Bob Clark, che non era certo uno sprovveduto) per non parlare degli American Pie.

I tempi, ovviamente, cambiano e in un'epoca volgare e "social" in cui divertirsi è sinonimo di sballarsi e farlo vedere a tutti, la parola d'ordine, per un pubblico infantile più dei ragazzini di Stand by Me, è: esagerare. Non può esistere una commedia sexy, teen o generazionale senza situazioni al limite, anzi, oltre il limite. Che ci siano o meno attori famosi (pensiamo a titoli come La festa prima delle feste, Le sorelle perfette, ma non ne sono esenti nemmeno le Bad Moms e i due Come ammazzare il capo), l'importante è fare a chi le spara più grosse in termini di sesso e secrezioni fisiologiche, perché a quanto pare sono cose che fanno ridere. Bisogna alzare costantemente l'asticella e non è sempre facile.

C'è anche un paradosso evidente in questo momento storico: sotto il mirino dei censori cadono spesso gli horror, considerati la madre di tutti i mali, ma non è che da queste commedie esca un ritratto confortante delle nuove generazioni e dei loro genitori. L'alcool, la droga e le gravidanze indesiderate tra i minorenni sono una piaga sociale, specialmente in America? Bene, facciamo un film in cui questi comportamenti vengono esaltati, tanto si fa per ridere. Forse non abbiamo l'età o la contiguità “culturale” con questo genere, ma davvero ci sfugge il motivo per cui John Cena voglia essere ricordato per una lunga e insistita scena in cui gli viene infilato da Lesley Mann un tubo di gomma nel sedere che Ike Barinholtz con un imbuto gli riempie di birra, in una sfida a “tracannare” con dei ragazzi che hanno meno della metà dei loro anni.

Un'altra scena, che coinvolge dei testicoli in bella vista, potrebbe sembrare quasi un plagio o un omaggio ad una analoga in un cinepanettone con Boldi e De Sica, anche se qua manca la doccia. Giù le mani dalle nostre figlie obbedisce a tutte le regole del genere, incluso il fatto che gli adulti si comportano sempre da perfetti imbecilli e da immaturi piagnoni e maniaci del controllo, che il più grosso e minaccioso è quello dalla lacrima facile (perché fa più ridere vedere piangere un bestione), mentre quello in apparenza più superficiale è il più profondo e sensibile. E le ragazze hanno conquistato la loro parità coi maschi manipolando i coetanei e discettando di sesso con un linguaggio da pornostar.

In tutto questo, per fortuna, ci sono anche un paio di scene che strappano il sorriso e sono dovute tutte a Leslie Mann, che grazie al lavoro col marito Judd Apatow (uno che le commedie, anche spinte, sa farle benissimo) è perfetta nei tempi comici e fa il massimo col poco che le viene dato. Date le reazioni ampiamente positive a Giù le mani dalle nostre figlie (83% fresh su Rotten Tomatoes), ci sorge il dubbio che gli americani – che, come si diceva un tempo, sono sempre avanti - si siano già anticipati sulla rivalutazione del genere, per non doversi ritrovare a farlo vent'anni dopo, come alcuni loro colleghi italiani coi film del filone sexy trash.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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