Ghostbusters: Minaccia glaciale, la recensione del nuovo film con gli Acchiappafantasmi

28 marzo 2024
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Jason Reitman e Gil Kenan compiono il secondo passo dopo Ghostbusters: Legacy: nel tentativo di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, a volte inciampano, a volte si rialzano, in generale continuano a crederci. La nostra recensione prova a confrontarsi con l'impresa titanica.

Ghostbusters: Minaccia glaciale, la recensione del nuovo film con gli Acchiappafantasmi

Phoebe Spengler (Mckenna Grace) è in una situazione spiacevole: ha il suo destino di Acchiappafantasma a portata di mano, ma è costretta a occupare le retrovie, quando una missione a New York con mamma (Carrie Coon), fratello (Finn Wolfhard) e papà acquisito (Paul Rudd) provoca l'abituale sconquasso dei Ghostbusters... e l'autorità le impone, in quanto ancora quindicenne minorenne, di non lavorare. Eppure - spalleggiata emotivamente da Ray Stantz (Dan Aykroyd) - potrebbe essere la chiave per capire una nuova freddissima minaccia che grava sulla Grande Mela...

Con Ghostbusters: Minaccia glaciale, che arriva dopo il ghiaccio ancora più minaccioso e difficile da rompere di Ghostbusters: Legacy, siamo davvero nei guai. Sono nei guai Jason Reitman e Gil Kenan, insieme ancora sceneggiatori, ma con uno scambio di ruoli alla regia / produzione. Siamo nei guai anche noi osservatori o critici, rassegnati a essere schiacciati dall'esercito di nerd e/o cosplayer, pronti a rinfacciarci un'altezzosa distanza dall'amore viscerale che provano per il mondo di Ghostbusters. Sono quindi rimpiombato in un combattimento interiore che personalmente avevo già sperimentato recensendo Ghostbusters: Legacy.
Legacy aveva un'anima affascinante, un sincero parallelo tra la giovane protagonista Phoebe e il regista Jason Reitman, che andavano alla ricerca delle proprie radici in un passato che ammiravano. Fu l'anima che "sbloccò" l'impasse del marchio Ghostbusters, abbracciando la reverenza quasi religiosa della nostalgia per il film originale, allo stesso tempo giocando la classica carta del "soft reboot" con intelligenza, nel nome del fu-Egon Spengler, dell'Harold Ramis scomparso anche nella vita vera. Era però una carta che non si poteva giocare due volte, quindi Minaccia glaciale sarebbe a conti fatti la prima, vera e pericolosa, prova su strada della famiglia allargata Spengler e della chiave scelta da Reitman e Gil Kenan per Ghostbusters. E cascano un po' le braccia quando realizzi che hanno ancora... preso tempo.

Se Legacy tentava infatti di calibrare il fanservice con un approccio più personale, un'ambientazione diversa, Minaccia Glaciale lo abbraccia senza remore, a corpo (non-)morto, spostandosi a New York. Location, strumentazioni, situazioni, persino inquadrature gettano la spugna per dare al pubblico appassionato ciò che pretende non tanto di vedere, quanto di rivedere, come rituale di appartenenza al fandom. Sintomo di questa resa è il relativo allargamento della partecipazione dei vecchi Acchiappafantasmi: non sono davvero coprotagonisti come il materiale promozionale vorrebbe far credere, ma i loro cammei sono comunque allargati rispetto a Legacy. In particolare lo Stantz di Dan Aykroyd, anche co-executive producer, s'impegna per garantire al pubblico più anziano la legittimità dei nuovi protagonisti, "scortandoli" per diverse scene: preoccupante che ce ne sia ancora bisogno, dopo che Phoebe e gli altri ci erano stati già presentati nel capitolo precedente. E rimane un atto di presenza formale, che per giunta leva minuti a personaggi più freschi e sacrificati (Wolfhard viene praticamente abbandonato a litigare con Slimer). Quasi nessuna scena con Ray, Winston (Ernie Hudson), Janine (Annie Potts) e Venkman (Bill Murray) ha sul serio bisogno dei loro personaggi sul piano narrativo... e il copione fatica a contestualizzarli. E c'è un motivo.

Ruotando su Phoebe, sulla sua vicenda familiare, sulla sua crisi adolescenziale e sulla sua voglia di crescere più in fretta, una parte dell'anima di Ghostbusters: Minaccia Glaciale appartiene a un genere diverso da quello originale, che poteva essere rivolto anche ai teenager, ma non parlava dei teenager. Jason Reitman crede nelle storie familiari al femminile, l'ha fatto per tutta la sua carriera, e Mckenna Grace ha una presenza scenica molto efficace e tenera, cosa già evidente in Legacy: a questo giro ha poche battute spiritose, canalizza meno Egon e cerca più sé stessa, con il carattere del nonno virato dalla surreale comicità a un'ambiguità da freak un po' dolente. Non a caso, nel sovraccarico copione che segue in modo un po' caotico tanti personaggi, spiccano proprio Phoebe e il Grooberson di Paul Rudd, papà acquisito ma che non si sente ancora tale: hanno un percorso parallelo e portano il cuore emotivo della storia. Un cuore che non c'entra niente con Ghostbusters - Acchiappafantasmi (1984), quindi dev'essere a maggior ragione compensato dal fanservice, altrimenti di "Ghostbusters" rimarrebbe solo il titolo. Paradossalmente, il reboot al femminile Ghostbusters (2016) era più rispettoso dell'impostazione originale, rispetto a questo nuovo approccio. Ma non era piaciuto, perché... è dura, se non si è capito. Rimarrà sempre difficile questo gioco di equilibrismo, il tentativo di trasformare e far evolvere in una saga o in "universe" una storia anarchica e sfrontata, che non era partita con quelle intenzioni.

Ma quindi Ghostbusters: Minaccia glaciale soccombe del tutto, nel tentativo di salvare capra e cavoli, presente e passato, nuove e vecchie storie? Ci vuole un esame di coscienza. In quanto commentatore, da decenni mi domando se Ghostbusters sia un marchio davvero sopravvissuto al primo film, visto che - in tutt'onestà - ritengo già Ghostbusters II (1989) un risultato molto al di sotto del prototipo, appena risollevato dall'idea della Statua della Libertà in movimento, nel finale. Allo stesso tempo so che ho un dovere empatico verso gli autori, e non posso ignorare quando, al di là dei difetti di un'opera, esiste un cuore sincero che batte e che miracolosamente tiene su un'impalcatura traballante. E quando da spettatore mi scopro un po' tifoso di tutta questa accozzaglia di personaggi nel finale, vuol dire che qualche seme piantato nel corso del film ha funzionato. Sarà stato Kumail Nanjiani, il più rappresentativo della goliardìa originale, e che non a caso trascina Murray nella sua scena più "classica". Sarà stato il recupero di un senso effettivo di minaccia sovrannaturale, che non sarà l'horror grottesco del 1984 ma almeno ci prova davvero, nei limiti dell'edulcorazione PG-13 di oggi. Sarà che, alla fine, la sua dimensione di intrattenimento allegro e per famiglie Minaccia glaciale la porta a casa, con una leggerezza divertita e condivisa dal cast.
E così, ancora una volta, Ghostbusters riesce a farmi parcheggiare il senso critico, con un silenzioso stupore per un fenomeno più misterioso di quelli che studia Stantz. Reitman e Kenan sono riusciti a prender tempo un'altra volta, mi hanno incastrato di nuovo. Ci riusciranno anche al terzo giro?



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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