Finalmente l'alba: la recensione del film di Saverio Costanzo presentato in concorso al Festival di Venezia
Una giovane catapultata nelle frenesia di una Cinecittà in pieni anni '50, prima di vivere una notte che la porterà cambiata, in Finalmente l'alba, il ritorno di Saverio Costanzo al cinema e in concorso a Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.
Il cinema come magia, Cinecittà come sua terra di elezione negli anni Cinquanta. L’epoca d’oro degli studi romani, ieri come oggi capaci di ospitare grandi produzioni americane in trasferta, fanno da sfondo alla storia di formazione “tutto in una notte” in cui una ragazza della Roma popolare e una stella del cinema, star in città per un kolossal ambientato nell’antico Egitto, incroceranno i loro destini.
Un gioco di sguardi le avvicina e le farà poi allontanare, quando arriverà Finalmente l’alba. Entrambe, a modo loro, cambiate, per una storia di perdita dell’innocenza, quella del cinema stesso nella sua percezione da parte e dell’opinione pubblica e quella di Mimosa, ingenua giovane donna con la voglia di sognare. Un paese intero, ancora insicuro e con il miracolo economico di là da venire, si scopre meno sicuro. Saverio Costanzo, al ritorno al cinema dopo la pausa seriale come L’amica geniale, indirizza Mimosa sulle tracce della Dalia nera italiana, Wilma Montesi, ragazza uccisa barbaramente a pochi passi da un ritrovo salottiero della Roma di potere, economico e politico. Un femminicidio di una comparsa che ebbe un ampio risalto all’epoca e che rappresenta una sorta di monito quando la giovane si avvicina all’antro del mostro, alla tentazione notturna di brividi di novità e piacere in un mondo di privilegio a lei così lontano.
Due eventi destinati a chiudere un’era e aprirne un’altra nel rapporto fra cronaca nera e società. Dalla California alla Roma che (ancora solo) aspirava alla Dolce vita anche fuori dai confini di Cinecittà. Non casualmente due luoghi d’elezione per il cinema, in cui il sogno e le luci dei riflettori possono in un attimo spegnersi e trasformarsi nell’abuso di quel candore che ancora accomunava l'auto percezione dell’Italia, o almeno quella imposta dai media. Quel candore che Mimosa perderà, quando il giorno lascerà spazio alla notte, alle commistioni fra gli attori spogliati dei loro abiti di scena, quindi (ri)diventate creature insicure e dalla grande fragilità, e i salottieri in cerca di uno spicchio di luce.
È un viaggio nel tempo e nello spazio, quello che compie Mimosa dopo essere entrata nel campo d’attrazione della magnetica Josephine Esperanto (Lily James), che la vede come capriccio, come divagazione di una sera, in cerca di una fuga di normalità oltre l’eterno gioco di società che è costretta ad accettare. Comincia come un Bellissima dal verace umorismo romanesco, Finalmente l’alba, con la madre in cerca di un futuro all’altezza della bellezza della figlia maggiore - allora perché non un provino nel cinema? - e un marito per la piccola, più bruttina. Ma da copione sarà l’accompagnatrice a venire notata, la Mimosa interpretata con grande candore, ma anche presenza carismatica da Rebecca Antonaci, due occhi pieni di curiosità e pronti a mettersi in gioco.
A quel punto la capacità seduttiva del cinema è messo in atto con delle splendide sequenze girate nel set egiziano del kolossal a Cinecittà. Una giornata inattesa e da sogno, solo l’antipasto per un giro in macchina con la star e il suo co-protagonista Sean Lockwood (Joe Keery), pieno di insicurezze ma in realtà ben più talentoso della diva. A fare da autista e cicerone un produttore e uomo d’affari dai modi gentili interpretato da un Willem Dafoe nei panni (autobiografici) dell’americano a Roma. Un passaggio verso casa, poi diventata una cena, una festa e un viaggio nei gironi danteschi delle notti romane, proprio quelle che avevano inghiottito Wilma Montesi.
Più che cinema nel cinema, un film che contiene un cinegiornale di cronaca nera al suo interno. Mimosa osserva, spaesata quando parlano in inglese, lingua che non conosce, mentre dovrebbe tornare a casa. Un circo di bestie ferite in cerca di visibilità, in cui l’autenticità della giovane risalta come il rosso pieno del vestito che la diva le regala. Non chiede niente e non giudica, ma quella notte imparerà a conoscersi un po’ di più, a sostenere lo sguardo degli altri e, soprattutto, quello di sé stessa.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito