Era ora: recensione del film Netflix con Edoardo Leo e Barbara Ronchi
Alessandro Aronadio scrive e dirige l'adattamento del film australiano Long Story Short, mettendo al centro della storia e del ragionamento la vera valuta pregiata della nostra epoca: il tempo. La recensione di Federico Gironi del film Era ora.
Che il tempo sia "la cosa più preziosa che un uomo può spendere" lo diceva già un filosofo allievo di Aristotele che si chiamava Teofrasto. Ma se era così già più di 2300 anni fa, figuriamoci oggi, un oggi dove i ritmi della vita (e del lavoro, e dell’amore, e di tutto) sono infinitamente più compressi e frenetici di allora.
D’altronde, già una decina d’anni fa Andrew Niccol dirigeva In Time, storia distopica ambientata nel 2169 in cui il tempo è tramutato, letteralmente, in valuta: i ricchi ne hanno per mille vite, i poveri lasciamo perdere.
In fondo Era ora, che è il nuovo film di Alessandro Aronadio, quello dell’ottimo Orecchie e del meno riuscito Io c’è, è più vicino, paradossalmente, a In Time che non a Ricomincio da capo, tanto per citare il più citato e citabile dei film sul tempo. Filosoficamente, in un certo senso, non certo nell’estetica e nel genere.
Il succo del discorso, in Era ora, è questo: c’è Edoardo Leo che compie quarant’anni, è festeggiato dalla compagna Barbara Ronchi, ma si capisce subito che, se i due si amano, il loro rapporto è messo a dura prova dal fatto che Leo è uno che va sempre di corsa, che spinge sul lavoro (“perché così a cinquant’anni il tempo me lo compro”, dice), che si riempie la vita di impegni e non si gode davvero mai nulla, nemmeno forse la festa del suo compleanno, sicuramente non il pancake preparato per lui a colazione, che ingolla bruciandosi lingua e palato.
Poi la sera Leo va a letto, la mattina si sveglia, e si ritrova di nuovo nel giorno del suo compleanno.
Come in Ricomincio da capo? Sì e no. Perché il giorno è lo stesso, ma l’anno è successivo. Si rimette a letto, e bum. Ancora un anno in più. Si addormenta stremato da una figlia neonata (Galadriel, il nome) che si ritrovato tra le braccia e bum: un anno ancora. E così via, con salti progressivi che nemmeno avranno più bisogno del sonno per essere compiuti, ma solo di astute scelte di montaggio operate da Roberto Di Tanna, storico collaboratore di Aronadio, e che porteranno il protagonista dal 2010 dei suoi 40 anni al 2019.
Il punto vero, però, è che se il nostro protagonista è spaesato e confuso, di fronte ai cambiamenti anche radicali che si trova di fronte nel salto da un anno all’altro, che per lui e per noi è invece di pochi minuti, spaesati e confusi dalle sue reazioni sono anche quelli che si trova davanti.
Perché se Leo scopre di avere una figlia, e poi di star vivendo una crisi coniugale, di avere un’amante, di essersi separato, che Ronchi si è messa con Raz Degan e lui, per poco, con Francesca Cavallin, e che in tutto questo è arrivato al vertice dell’azienda in cui lavora, scopre anche che tutto questo è successo perché nel resto dei giorni dell’anno che ha vissuto si è comportato in maniera del tutto diversa da come si comporta nei giorni del suo compleanno, ovvero in quelli che sta vivendo lui e vedendo noi.
E gli altri non si spiegano questa schizofrenia, tanto che Ronchi parla della “solita crisi del giorno del compleanno”.
Ora.
Tutto questo è chiaramente una metafora. Un modo per dire che le sporadiche illuminazioni che tutti noi possiamo avere sono spesso in profonda contraddizione con le scelte che facciamo scientemente giorno dopo giorno. E la morale - perché la morale, il Messaggio, piaccia o meno, c’è - è chiara: inseguendo quello di cui pensiamo di avere bisogno, o che pensiamo di voler dare agli altri, perdiamo di vista le cose importanti: l’amore, i figli, gli amici. Magari un genitore che è alla radice delle nostre storture, come spesso sono i genitori.
E d’altronde anche Francesco Piccolo, nel ultimo, bellissimo “La bella confusione”, in cui parla di Visconti e Fellini, del Gattopardo e di Otto e mezzo, dice che in fondo le persone si dividono tra chi fa scelte privilegiando l’amore chi, invece, mettendo prima il lavoro.
Si può essere d’accordo o meno con il Messaggio del film di Aronadio - io penso che in generale si dovrebbe esserlo - ma è credo innegabile che Era ora porti avanti il suo discorso con coerenza, scegliendo la soluzione meno facile al dilemma di Leo, perché - storia fantastica o meno - il tempo perduto non lo si recupera più, che si tratti di amore o di lavoro.
Così come credo sia innegabile che, nei limiti di una confezione standard, e di un film nel quale scrittura e personaggi (e interpretazioni) vengono prima della messa in scena, Aronadio sembri cercare costantemente, anche nella forma e nel ritmo del suo film, quella frizione paradossale che sta al centro della storia che racconta, quella che crea scintille tra la voglia di correre e di divorare ogni istante e ogni possibilità, e quella invece di fermarsi, godersi l’attimo, il qui e ora, quel far niente che, se fatto bene, come sanno gli esperti del settore, tra i quali ho la presunzione di annoverarmi, vuol dire anche fare tutto ciò che è importante.
E le scintille che, così facendo, vengono fuori dal film di Aronadio, grazie anche ai suoi due protagonisti (menzione obbligatoria anche per Mario Sgueglia, l’amico del cuore per personaggio di Leo), sono quelle di emozioni vere ma mai sfacciate, mai ricattatorie, ma sincere e accompagnate da un’ironia costante, e spesso giustamente aspra.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival