Ed Wood, la recensione del biopic con Johnny Depp sul peggior regista del mondo
Tim Burton diresse ancora Johnny Depp nel biopic di Ed Wood, giudicato dalla storia come il peggior regista del mondo. Forse.
Drammaturgo per platee insignificanti demolito dalla critica, Ed Wood (Johnny Depp), nei primi anni Cinquanta a Los Angeles, non ha però alcun dubbio di voler lavorare nel mondo dello spettacolo: venuto a sapere che un produttore di serie Z ha i diritti per un film su un uomo che ha cambiato sesso, Ed si propone come un "Orson Welles", scrivendo, dirigendo e interpretando Glen or Glenda? (1953). Diventato per caso amico di un ex-divo ormai in declino come Bela Lugosi (Martin Landau), troverà il modo di infilarlo fuori contesto nel racconto. Eccentrico e segretamente amante degli abiti femminili, Ed inizia un percorso che in una decina d'anni lo porterà a realizzare quelli ancora considerati come i film più brutti della storia del cinema.
Oltre vent'anni prima che James Franco raccontasse un Ed Wood moderno con The Disaster Artist, Tim Burton e Johnny Depp decisero di fare ancora squadra per affascinarci con la disperata ma toccante impresa di un uomo che aveva dalla sua un incrollabile entusiasmo... e basta. La sceneggiatura di Ed Wood (1994), scritta da Scott Alexander & Larry Karaszewski, si ispira al libro "Nightmare of Ecstasy" di Rudolph Grey, pubblicato nel 1992, anche se la "riscoperta" di quella che per decenni è stata una figura oscura è cominciata di fatto nel 1980, due anni dopo la morte di Edward Wood Jr.
Se Edward mani di forbice era un freak partorito dall'immaginazione, quest'altro Edward è un l'anello mancante tra il mondo reale e il mondo della fantasia: abbastanza folle da ignorare le più elementari problematiche pratiche, privo di autocritica, Ed Wood è realmente esistito ma appare creato a tavolino, fuori dal tempo. Indiscutibilmente, Burton è dalla sua parte, senza alcuna briciola di disprezzo: fa evidentemente sua la fascinazione di Wood per un divo del cinema d'antan. Così come Ed non riusciva a fare a meno del feticcio Lugosi (un perfetto Landau Oscar come migliore non protagonista), così Burton si era legato a Vincent Price sin dal suo cortometraggio in stop-motion Vincent del 1982. A Tim non sembra importare che Wood trascini un caravanserraglio di adulti tonti e alla deriva nel realizzare film amatoriali e imbarazzanti: gli interessa che il metodo di lavoro di Ed sia in fondo lo stesso del piccolo Victor che girava col suo cane in 8mm epiche improbabili da proiettare in famiglia, nel suo corto Frankenweenie del 1984.
Quando siamo deboli, è facile cercare un modo di sentirci migliori a buon mercato, e letto con superficialità Ed Wood pare un'occasione servita su un piatto d'argento: come fa quel cretino a non rendersi conto che produce schifezze? Questo biopic pare proprio un film comico. Se però, per passione personale o errore di calcolo, avete per un attimo pensato di darvi ai sogni cinematografici realizzando qualcosa in proprio, dovreste essere meno disposti a liquidare così facilmente Wood: non soltanto perché realizzare schifezze immonde è estremamente facile, pur con le migliori intenzioni e una cultura superiore a quella del nostro eroe. Wood è anche un modello: in un mondo di nevrosi, non si autodisprezza mai. Al massimo ha momenti di dubbio, però sembra sinceramente non vedere una ragione plausibile per cui il resto del mondo dovrebbe respingerlo: è sincero, è trasparente, va dritto per la sua strada, aspetta di essere capito dagli altri, perché lui si è già capito perfettamente. Eh sì, l'imbecille è ampiamente invidiabile almeno sotto questo aspetto, ammettiamolo: meglio non affrettarsi a ridere di lui.
Se dunque da un lato Ed Wood è un ritratto affettuoso, trascinante e commosso, da cineasta a cineasta, complice anche nei gusti per l'horror vintage, dall'altro nemmeno è un'apologia semplicistica che fa di Wood un vincente al contrario. Burton chiude il film prima della caduta totale umana di Wood a partire dagli anni Sessanta, quando si diede al porno e finì i suoi giorni alcolista e sfrattato, incapace di regolarsi su un mondo che non lo capiva, per una fine paradossalmente simile a quella di Lugosi. Il sorriso e la simpatia per lui ci si gelano in faccia, quando leggiamo i cartelli finali che ci raccontano l'epilogo di questa persona, la cui forza interiore nulla ha potuto contro i limiti che pure aveva. Qui e lì, il film non ha risparmiato stoccate all'ambiente, che fa rientrare l'umiliazione nel gioco. A Wood che lo rimprovera per essersi fatto fotografare malato in ospedale con "Non vedi che ti stanno sfruttando?", Bela Lugosi risponde: "E che c'è di male?" Quando gli si fa notare che è l'unico in città a non giudicare nessuno, Wood risponde col massimo candore: "Se lo facessi, non avrei amici." E forse non siamo stati i soli a sentire echi di Bellissima di Visconti, nella scena in cui un produttore si sbellica dalle risate con i suoi assistenti, guardando Glen or Glenda. La confusione tra la severità e il dileggio non ha fatto che peggiorare col passare dei decenni.
Perfetta sintesi di questa doppia lettura, comica e drammatica, è una scena chiave, terribile, sublime, che vale il film intero ed è non a caso la più ricordata: vestito da donna per trovare un attimo di pace interiore durante le riprese difficili di Piano 9 da un altro spazio ("film più brutto della storia del cinema"), Ed ordina qualcosa di forte in un bar, poi realizza che Orson Welles, il suo idolo, è seduto lì accanto. I due iniziano a parlare e scoprono di soffrire degli stessi problemi: compromessi con la produzione nel mettere in scena la propria visione artistica. Il peggior regista di sempre e il miglior regista di sempre sono in perfetta sintonia e condividono lo stesso slancio. Solo dimenticando a casa l'umiltà si può pensare che sia una semplificazione: al contrario, la differenza estrema negli esiti artistici delle due carriere spalanca in questa scena un abisso sull'infinita quantità di variabili che dominano la creazione artistica. Burton, abbracciando in modo elegantissimo tale umiltà, non dà risposte, ma forse sa di essere stato fortunato.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"