Destinazione matrimonio: recensione della litigiosa commedia romantica con Winona Ryder e Keanu Reeves

28 marzo 2020
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Due musoni e cinici si trovano per caso allo stesso matrimonio, fra dialoghi feroci e la consapevolezza che non si può scappare dall'altro sesso per sempre.

Destinazione matrimonio: recensione della litigiosa commedia romantica con Winona Ryder e Keanu Reeves

Il fatto che odio e amore siano sentimenti di grande profondità, ma a suo modo attigui, lo sosteneva già Ovidio una ventina di secoli fa. Due sentimenti ai due estremi di un’oscillazione emotiva che primo o poi coinvolge tutte o quasi le coppie. La profondità, quindi, è cruciale, per cui non vogliamo esagerare utilizzando almeno il primo termine parlando di una commedia romantica, Destinazione matrimonio, che coinvolge due persone che iniziano a prendersi letteralmente a male parole, lo fanno per una buona metà del film, salvo poi rendersi conto che forse c’era qualcosa che non tornava nel loro accanimento.

Ma torniamo al titolo, che abbiamo scoperto riferirsi a una pratica molto in voga in quest’epoca di vita frenetica e di continuo sognare sulla scrivania ritmi diversi e cambi vita in posti esotici. “È molto più di un matrimonio, è una vacanza, già luna di miele”, come dice una brochure. In soldoni è un matrimonio celebrato in un posto da favola in cui si invitano gli ospiti pensando a organizzare la trasferta.

In un piccolo aeroporto californiano incontriamo due invitati allo stesso “giorno più importante” della vita di una persona a loro vicina. Per Lindsay (Winona Ryder) si tratta dello storico ex che l’ha mollata a pochi minuti dall’altare, rovinando la stabilità della sua vita e alzando a livelli stellari il suo tasso di asociale cinismo e avversione per l’altro sesso. Per Frank (Keanu Reeves) è il fratellastro che cerca, con successo, di evitare da una vita, ma questa volta gli tocca presenziare al suo sposalizio. Quello che più conta, premessa da salivazione incontrollabile per chi è cresciuto negli anni ’90, i protagonisti sono due icone di quegli anni, che hanno occupato lo sfondo del desktop dei primi computer per milioni di adolescenti a sessi alterni. I due hanno fatto già coppia nel Dracula di Coppola e sono amici da trent’anni. Hanno messo dunque la loro intesa al servizio del film a basso budget scritto e diretto da Victor Levin.

I due si incontrano fin dall’aeroporto in cui iniziano a litigare per la fila, poi nel piccolo aereo che li porterà in un idilliaco resort vinicolo nel cuore della California, non smettendola un attimo di parlare e sparlare senza mai abbassare un attimo la sciabola. Ogni frase cerca di scoprire l’avversario che è pronto a reagire con una controstoccata e via così per 90 minuti; meno 5, al massimo. Del fine settimana del matrimonio vedremo qualcosa a stento, sempre dal punto di vista dei due, che sono l’unica cosa che interessa a Levin. Chi non ama i film verbosi è avvertito, anche per gli altri ci permettiamo di rilevare un problema nel fiume di parole: più che caustici, o gustosamente cinici, questi dialoghi sono troppe volte infantili e cattivi, puramente e semplicemente. La differenza non è da poco, se vogliamo è quella fra un amico con cui divertirsi e uno da compatire e mandare a velocemente nel paese degli ex amici.

Le cose cambiano un po’ quando iniziano a rivolgere le loro tirate contro terze persone, coalizzando la loro misoginia e raddoppiando il carico di acredine, visto che spesso commentano, come i vecchietti dei Muppets, persone che li hanno realmente feriti. Verboso e solo a tratti realmente ficcante, il film si mantiene a galla, sul confine della noia, riuscendo a non affondare per i due protagonisti e la loro palese e divertita alchimia che ci fa smuovere qualcosa e ci fa percepire come si stiano sinceramente divertendo.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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