Demolition: la recensione del dramma sull'elaborazione di un lutto con Jake Gyllenhaal e Naomi Watts
Diretto dal canadese Jean-Marc Vallée.
Non si può dire che il regista canadese Jean-Marc Vallée racconti solo protagonisti tradizionalmente positivi. Dopo l’omofobico malato di AIDS, ma benedetto dall’oscar, interpretato da Matthew McConaughey in Dallas Buyers Club, è arrivata la sbandata Reese Whiterspoon in crisi di Wild. Ora costruisce Demolition intorno a un uomo incapace di esprimere dolore per la tragica morte della moglie in un incidente stradale. L’elaborazione del lutto è uno dei riti di passaggio di ogni regista, oltre che di ogni essere umano. Un archetipo ostico, pieno di trappole che rischiano di viziare il tacito accordo di sincerità fra autore e spettatore.
Jake Gyllenhaal è Davis, dirigente di un’importante società di investimenti di proprietà del padre della moglie, che lavora con i bambini disabili. Una coppia apparentemente perfetta, con il rampante marito che cerca di meritarsi ogni giorno un posto di lavoro portato in dote dalla moglie, a sua volta impegnata nel restituire alla società la fortuna di essere cresciuta in un contesto famigliare molto benestante, circondata da sincero amore.
Un giorno tutto si rompe. Decostruendo il dolore, Davis lo rende ossessivamente legato a un dettaglio infinitesimale, uno di quelli che si ignorerebbe in una situazione normale, figurarsi quando in ospedale si riceve la notizia della morte della donna amata. Una merendina bloccata in un distributore da sala d’attesa. Uno di quegli intoppi noiosi che in questo caso diventa ragione principale per svegliarsi la mattina. Inizia a scrivere lettere al servizio clienti della società che gestisce il distributore, prima una e poi una al giorno e più. Racconta la sua vita, il suo dramma, e la comunicazione diventa presto bidirezionale quando la responsabile del customer care, in realtà la moglie con figlio adolescente del proprietario, inizia a chiamarlo.
Per aggiustare qualcosa lo devi distruggere, ridurre a ogni sua più piccola particella, per poi ricomporlo. Il viaggio in cui ci conduce Vallée è quello nella mente sconvolta di un uomo che per accettare la necessità di aggiustare la propria vita, deve imparare a conoscere la moglie che non c’è più, il ruolo che avevano uno per l’altra, superando il senso di colpa per non aver alimentato il proprio amore, per non averne preso cura. Il tutto passa per l’isolamento, cuffie alle orecchie in mezzo alla folla della metropoli, la compartimentazione del dolore, che esclude la condivisione con la famiglia di lei, creando disagio crescente a chi vive intorno a lui e a noi spettatori. Davis è un personaggio pieno di spigoli, irritante a tratti, come spesso i personaggi del cinema di Jean-Marc Vallée. Le metafore sono gettate in faccia, senza andare troppo per il sottile; eppure il ritmo sincopato, la ruvidezza scorretta di un percorso che ignora codificate regole spesso vuote di significato, colpiscono in più occasioni. Perdonando troppe sottotrame che appesantiscono la narrazione e disperdono risorse, Demolition risulta un lodevole tentativo di affrontare il cinema sul lutto da un punto di vista diverso, meno prevedibile.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito