Come per disincanto, la recensione del sequel con Amy Adams, a quindici anni di distanza

18 novembre 2022
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Sono passati tanti anni, ma Amy Adams ha creduto fortemente in un sequel di Come d'incanto, cioè Come per disincanto, in streaming su Disney+ dal 18 novembre. Com'è andata? Ecco la nostra recensione.

Come per disincanto, la recensione del sequel con Amy Adams, a quindici anni di distanza

Cosa succede dopo il "vissero felici e contenti"? Lo sta per scoprire Giselle (Amy Adams): anni dopo il suo trasferimento dal mondo fiabesco di Andalasia a New York, con una neonata figlia avuta da Robert (Patrick Dempsey) e una Morgan ormai adolescente insofferente (Gabriella Baldacchino), non riesce più a trasmettere felicità al prossimo. Cosa più grave, forse non la prova troppo nemmeno lei! Promuove allora un trasloco nel sobborgo di Monroeville, che sente più vicino alle atmosfere della sua Andalasia. Ma si possono imporre le regole della fiaba al mondo reale? Con quali conseguenze?

In quindici anni sono successe tante cose. Mentre nel 2007 decollava la carriera di Amy Adams, lanciata proprio dalla nomination ai Golden Globe per il ruolo di Giselle nel primo Come d'incanto, la Disney fiabesca e animata iniziava a recuperare terreno sulla lanciatissima consociata Pixar: cominciava a farlo ripensando la logica delle "storie di principesse", con un'autoironia che non demolisse alle fondamenta la necessità psicologica di evasione e sogno che Walt Disney amava. Forte della colonna sonora e delle canzoni di Alan Menken, Come d'incanto, non a caso diretto da un animatore e regista di cartoon, Kevin Lima, fu il primo passo di questo processo di... autoanalisi, si potrebbe dire, che sarebbe passato dal successo di Rapunzel (2010), prima di esplodere definitivamente con Frozen (2013).

È confortante che Come per disincanto - E vissero infelici e scontenti riesca comunque a difendersi e ad avere un senso, uscendo in un contesto storico del tutto diverso, nel quale quell'autoanalisi ironica non sarebbe più necessaria. I due Frozen hanno ricesellato la struttura di una moderna fiaba classica disneyana con principesse, i cliché sono stati ribaltati anche in Maleficent. Come per disincanto sarebbe già in partenza condannato a non spiazzare e non stupire in questo senso, eppure la sceneggiatura di Brigitte Hales, da un soggetto al quale ha messo mano anche Richard LaGravenese, mette bene a fuoco gli elementi sui cui giocare. La regia passa all'esperto di musical Adam Shankman, che non stupisce con numeri musicali indimenticabili (le canzoni sono nella media menkiana), ma che non ha bisogno troppo di farlo, vista la sicurezza del cast. Su tutti svetta ancora Amy Adams, che dopo tante prove drammatiche sa perfettamente recuperare l'ingenuità di Giselle, in questo caso "corretta" in modo spassoso.

Una chiave assai contemporanea, nel contesto disneyano, è la gestione del fattore villain. Qui c'è un nuovo acquisto, una "regina cattiva" interpretata da Maya Rudolph, ma il guaio peggiore in buona fede è combinato da Giselle stessa, che innesta una reazione a catena piuttosto divertente, seppur non di amplissimo respiro: fa letteralmente fondere i due mondi ai quali appartiene, i due mondi che si limitavano a comunicare nel primo capitolo. Il tilt fa ridere quando il gioco rilegge le regole linguistiche della "fairy tale" (senza spoilerare troppo, la doppia lettura del ruolo di "matrigna" è geniale). Centrata poi l'idea che il sarcasmo sia il sentimento che più distingue la vita vera dalla fiaba, incapace di concepirlo... e considerando quanto il sarcasmo vada di moda in un certo umorismo per i più giovani, è un messaggio démodé che fa tenerezza.

Come per disincanto, in omaggio al suo predecessore, protegge il messaggio disneyano più puro anche quando se ne prende gioco: Morgan sulle prime non sopporta l'idea di sentir cantare la sua mamma acquisita, e la semplicità forzata della fiaba diventa una tortura, perché anche le migliori intenzioni, se imposte al prossimo e agli affetti senza ascoltarli davvero, possono diventare un incubo. L'ironia però non è mai demolizione, perché ad avventura terminata sarà ancora una volta una bilanciata interazione tra la realtà e la fantasia ad aiutare ad affrontare l'età adulta, il mondo vero e le sue sfide. E, in sintonia notevole con la filosofia di Walt come fu espressa nel suo Peter Pan, il segreto della giovinezza, la forza dei ricordi dell'infanzia, sono custoditi nella magia della fiaba, ma sono un toccasana solo se si coltiva la capacità di richiamarli alla bisogna.
Nulla di nuovo rispetto al prototipo, in sostanza, però le citate idee reggono il nuovo giro di giostra, nonostante la durata di due ore le diluisca un po' troppo. Attori e attrici credono abbastanza nel progetto da rendere comunque la rimpatriata sincera, con Idina Menzel / Nancy consapevole ormai di essere per le orecchie americane anche la mitica Elsa (e non a caso a questo giro le si affida un brano). Le discrete sezioni in animazione 2D, irrinunciabili per principio, sono a cura della canadese Tonic DNA, che già si era occupata di Space Jam New Legends: spiando tra i nomi, tra gli animatori ci sono guest star veterane come John Pomeroy, Sandro Cleuzo e Tony Bancroft. Ulteriore doveroso simbolico inchino per gli appassionati.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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