Che fine ha fatto Bernadette?: la recensione del nuovo film di Richard Linklater con Cate Blanchett

11 dicembre 2019
3.5 di 5

Da un romanzo costruito sull'accumulo di frammenti, il regista americano realizza un ritratto femminile caleidoscopico, caotico e pieno di vita e sentimenti.

Che fine ha fatto Bernadette?: la recensione del nuovo film di Richard Linklater con Cate Blanchett

Li abbiamo tutti dei punti deboli, quando si tratta di film. Temi, luoghi o personaggi che ci interessano sempre e comunque, e che ci spingono all'indulgenza anche quando il film ne meriterebbe poca, o comunque meno di quella che siamo pronti a garantire.
Il nuovo film di Richard Linklater ne mette insieme molti, dei miei punti deboli: dall'Antartide al racconto di un genio tormentato.  Che poi, in questo caso, è pure un architetto: e fa centro di nuovo. Ma non è per questo, o non solo, che penso sia un film interessante, e pure un po' commovente.

Che fine ha fatto Bernadette?, a ben vedere, parla di molte cose, e molte di queste cose sono quelle che praticamente da sempre sono al centro del cinema del regista americano.
Attraverso la vicenda del personaggio del titolo, la cui storia e la cui reale identità ci vengono rivelati man mano che l'intreccio si dipana, Linklater trova di nuovo il modo di affrontare temi come i rapporti di coppia, quelli tra ragazzi e adulti, figli e genitori, la possibilità e la necessità di esprimersi per quello che realmente siamo. E, a comprendere e tenere assieme tutto questo, del ruolo del tempo nella nostra vita; di come il suo trascorrere modifichi o trasformi noi stessi e il nostro rapporto col mondo.

La vita di Bernadette - che Cate Blanchett interpreta incanalando le nevrosi e l'intensità della Jasmine alleniana e ribaltandole di segno - è raccontata attraverso singoli episodi in apparenza slegati tra loro: la frammentarietà narrativa è figlia del modello letterario da cui Linklater è partito, il romanzo di Maria Semple che è tutto costruito assemblando con la voce narrante di Bee (la figlia della protagonista) un complicato insieme di mail, documenti, promemoria e altro ancora.
È col procedere del film che l'interconnessione tra i gesti idiosincratici variamente assortiti di Bernadette - nei quali la sua acuta misantropia si mescola con la fragilità psicologica, e la genialità artistica si scioglie nel ruolo e nell'atteggiamento materno - si fa sempre più evidente, e arriva a comporre un quadro, e a ricostruire un passato, un carattere, una psicologia.

L'impressione potrebbe essere quella di un disordine generale: ma è un disordine cercato e voluto da Linklater, che ne coglie gli aspetti creativi ed emotivi, tratteggiando in maniera tutt'altro che sciocca figure che possono sembrare non solo di secondo piano ma anche monodimensionali, e arrivando a dare traduzione concreta e visibile dello stato di crisi esistenziale e psicologica della sua protagonista.
La deriva di Bernadette è spesso esilarante (in particolare quando ha a che vedere con le derive e le ironie riguardanti le pressioni sociali dei gruppi scolastici e di quartiere), il suo legame con la figlia commovente. E quando Linklater racconta il suo naufragio, non perde tempo con l'autoindulgenza del dramma, o con l’autocommiserazione del personaggio, ma la fa ripartire alla volta di una nuova, risolutiva avventura con la stessa eccentricità e la stessa genialità, ma con uno spirito rinnovato e - letteralmente - costruttivo.

Costellato da dettagli scenografici e architettonici che faranno la gioia degli appassionati, Che fine ha fatto Bernadette? è il primo film di Linklater in cui la protagonista assoluta è una donna, e il texano si cala con facilità all'interno della psicologia femminile, facendo attenzione alle particolarità e alle differenze con quella maschile. Ma se il discorso del film, nei suoi nodi e nei suoi esiti, nel ragionamento sulle dinamiche di coppia, potrebbe essere legittimamente inteso in una chiave femminista, l'impressione è che, con grande intelligenza, il regista dia alla storia di Bernadette una valenza trasversale, umanista. Perché alla fine della fiera, l'esigenza di esprimere ciò che si ha dentro riguarda tutti. L'essere messi (o il mettere) nelle condizioni di poterlo fare, dal tempo e da chi è vicino a noi, anche.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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