Cattive acque: la recensione del thriller di Todd Haynes con Mark Ruffalo e Anne Hathaway

17 febbraio 2020
3.5 di 5
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La storia vera della lunga lotta processuale fra un avvocato, un gruppo di cittadini di provincia, e il colosso della chimica DuPont.

Cattive acque: la recensione del thriller di Todd Haynes con Mark Ruffalo e Anne Hathaway

Il sistema contro i cittadini.
Una tensione non sempre pacifica fra l’individualismo americano, quello dei pionieri che si sono conquistati le terre un recinto per volta, al massimo declinato nel suo immediato nucleo sociale, quello familiare, e l’organizzazione statuale più elaborata, quella governativa. Un rapporto conflittuale soprattutto nella pancia del paese, in quei territori sterminati negli ultimi anni in crisi di riconversione dopo la deindustrializzazione, proprio nel cuore degli USA, fra le due coste, con i loro record economici e la loro cultura tollerante e avanzata.

Luoghi come il Midwest, in cui un altro problema si inserisce nel rapporto fra il singolo e le istituzioni, questa volta sotto forma delle grandi corporation: quello ambientale. Una storia simile, anche come stile e ambientazione, l’aveva raccontata qualche anno fa Gus Van Sant in Promised Land, più che l’Erin Brokovich utilizzato dal marketing per lanciare il film. Per fortuna, ci sentiamo di dire, visto che questo lavoro va ben al di là della sfida processuale fra chi ha subito un grosso torto e chi l’ha perpetrato. Non casualmente non ci si trova praticamente mai dentro un aula di tribunale. Non è un revenge movie camuffato da storia processuale, che cerca di sanare con un po’ di populismo una ferita profonda, ma un lavoro ben più maturo, credibile e realistico sul crollo del sistema di efficenza subito dall’America negli ultimi decenni. Un percorso non troppo differente, in fondo, dal percorso portato avanti da tempo da Clint Eastwood, in cerca di piccoli e oscuri eroi, capaci semplicemente di continuare a fare il proprio lavoro con scrupolo e senso etico. 

Personaggi come l’avvocato Robert Bilot (Mark Ruffalo), ma anche Richard Jewell o il pilota Sully. È proprio Ruffalo, ambientalista convinto da tempo, che ha sottoposto a Todd Haynes questa storia vera, molto diversa dai suoi consueti lavori. La lotta processuale di un avvocato, per anni al servizio della difesa delle grandi corporation in un grosso studio legale, il quale, proprio quando diventa socio e ha un futuro florido che l’attende, sposa la causa di un contadino di un paesino dello stato più povero d’America, il West Viriginia, dal quale proviene anche lui, per provare le enormi responsabilità del colosso chimico Du Port in una lunga serie di morti dovute allo sversamento irresponsabile di una sostanza tossica nelle falde acquifere del territorio. Un comportamento portato avanti serenamente per decenni, capace di provocare uno sterminio di animali, ma sempre più anche di esseri umani, nati con malformazioni o con una frequenza decisamente inusuale di alcune categorie di tumori.

Cattive acque racconta i diciannove anni della lotta di Bilott contro la DuPont, trovandosi testimone della definitiva rottura del “sistema”, a cavallo del nuovo secolo. Come fosse un horror, arriva una presenza a seminare morte e distruzione in una piccola realtà di campagna, ma non c’è niente di soprannaturale in questa peste, se non la bramosia immorale di chi si riempie la bocca di frasi come “responsabilità sociale”, salvo poi sostenere tanti progetti locali, da un centro ricreativo sociale alla squadra locale di football, solo per mettere a tacere ogni possibile critica.

Un rigoroso dramma che si inserisce nel nobile filone del cinema paranoico degli anni ’70, capace di far percepire la distanza siderale, non geografica ma esistenziale, fra due Americhe: quella urbana dei grattacieli delle grande imprese dai fatturati prossimi a quello di molti stati nazionali, e quella rurale in cui tutto sembra sul punto di marcire, l’America white trash delle roulotte sgangherate e dell’alcolismo come unico passatempo. La storia di un’ossessione che dovrebbe colpire molti più uomini di legge, quella per la giustizia, in un racconto morale che recupera il rispetto per ogni cittadino e invoca il ruolo dello stato di arbitro nobile, capace di tutelare Davide dalle folli esagerazioni di Golia, dalle sue violazioni palesi del patto sociale.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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