Carol: recensione del film di Todd Haynes con Cate Blanchett e Rooney Mara

17 maggio 2015
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Esemplare di un cinema di enorme raffinatezza, tanto estetica quanto narrativa

Carol: recensione del film di Todd Haynes con Cate Blanchett e Rooney Mara

C'era davvero bisogno, dopo opere imponenti come Lontano dal Paradiso e Mildred Pierce, che Todd Haynes tornasse agli anni Cinquanta, al melodramma, al ritratto femminile, alle questioni omosessuali? Forse no. Ma nella vita, grazie al cielo, non c'è spazio solo per la necessità, ma anche per la pausa, per la riflessione, per la reiterazione del piacere, per il godimento estetico: e ecco che allora Carol, ammesso e non concesso che non sposti di un millimetro l'asta del cinema di Haynes e di quello contemporaneo tout court, è un film che ci aiuta a comprendere meglio quello di cui siamo già in possesso, che già conosciamo, e che porta a livelli di perfezione impeccabile (o quasi, peccato per certi lievi eccessi musicali) l'arte di un certo tipo di racconto.

Storia di un'amore saffico, ovviamente contrastato, nella New York a cavallo tra il 1952 e il 1953, Carol è un meló al calor bianco consequenziale e speculare a Lontano dal Paradiso, nel quale il dolore imploso e rigido e il sentimento soffocato fremono e vibrano atomicamente sotto la superficie impeccabile, modellistica eppure naturalistica costruita con perizia da Haynes e da Ed Lachman.
Traendo la sua energia propulsiva dalla constante tensione tra caos e ordine, Carol lascia che la potenza emotiva della storia si percepisca inquieta e costretta, desiderosa di trapelare attraverso la grana di un'immagine modellata su quella di vecchie fotografie sbiadite, di un technicolor provato dal tempo, di scompaginare l'ordine cartesiano di inquadrature e scene calibrate su movimenti lineari e essenziali, come l'emozione di una regale Cate Blanchett viene costantemente costretta dalla rigida etichetta dell'epoca e di un genere che non consente crolli nervosi e nevrotici.

Haynes segue la Blanchett e la Mara , le colloca nello spazio del suo cinema in costante relazione biunivoca con la loro collocazione nello spazio emotivo e sociale, capace di abbracciarle con la macchina da presa come di descriverne dettagli percepibili solo attraverso spostamenti orizzontali, che partono da un volto e si fermano su un fianco, su un polso, per poi reimpadronirsi di un altro volto. Perché se il regista segue le sue protagoniste, lascia anche che i loro movimenti ne raccontino l'interezza fisica e mentale, e tenendo lo sguardo fisso lascia che siano loro a trovare nuovamente un centratura, un equilibrio, una giusta collocazione.

Perché, con tutto il differenziale di consapevolezza e maturità che passa tra le due protagoniste, Carol è per entrambe il racconto di uno spostamento, della ricerca e dell'ottenimento di un nuovo posto nel mondo, nelle loro vite, nelle loro identità. Di una trasformazione in senso chimico, nel corso della quale nulla si crea e nulla si distrugge, ma la forma e la specificità della materia muta, acquisendo nuove prerogative e nuove capacità. Haynes è uno scienziato del sentimento e del racconto, millimetrico e rigoroso nella misurazione e nel posizionamento dei suoi reagenti, ma sempre pronto e aperto allo stupore di fronte alla risultato delle sue sperimentazioni, al prodotto finale che (ci) si aspetta ma che riesce sempre ad avere la potenza e la freschezza di un miracolo di natura.

Esemplare di un cinema di enorme raffinatezza, tanto estetica quanto narrativa, Carol non lascia solo ammirati, ma anche coinvolti e commossi: proprio in virtù della tensione fra le sue parti, del suo costante controllo. Della capacità di rompere il passo senza perdere la strada che caratterizza momenti di rara potenza come quelli di una vestaglia che si apre, di una rabbia carica d'amore e del peso di una rinuncia che esplode, di sguardi così carichi di emozioni da essere quasi insostenibili.
Soprattutto in un finale che cattura la fremente partecipazione di quello del Dottor Zivago, e nel quale, come in una celebre scena di Palombella rossa, ti trovi quasi a gridare allo schermo, e a Cate Blanchett: "Voltati!, voltati!".





  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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