Capri Revolution: recensione del film di Mario Martone in concorso a Venezia

06 settembre 2018
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Il regista napoletano chiude una trilogia sulla ribellione celebrando la libertà dell'arte e la compassione umana.

Capri Revolution: recensione del film di Mario Martone in concorso a Venezia

Doveva intitolarsi Capri-Batterie il nuovo film di Mario Martone, in omaggio a un'opera di Joseph Beuys composta da una lampadina che ricava da un limone l'energia elettrica per accendersi. E invece, nonostante l'artista tedesco riviva nel pittore filosofo Seybu, che in realtà si identifica con Wilhelm Diefenbach, è stato cambiato in Capri revolution. E a ragione, perché la storia della capraia Lucia che scopre la condivisione, la lettura e la cucina vegetariana chiude una trilogia sulla ribellione, che in Noi credevamo era quella dei giovani che fecero il Risorgimento, ne Il giovane favoloso quella delle parole di Leopardi, mentre qui coincide ­(grazie alla danza, la poesia e la letteratura) con l'emancipazione di una donna da una famiglia e una società patriarcali. Il regista napoletano le donne le ha già raccontate, ma nessuna ha la forza della ragazza dai capelli scuri interpretata da Marianna Fontana, eroina di un film libero come l'amore che il regista racconta, ancestrale come le montagne "precipitate" in mare che formano l'isola eppure contemporaneo.

Contemporaneo Capri revolution lo è perché l'utopia primonovecentesca di cui narra, e che si intreccia all'idea di una guerra intesa come cambiamento e "igiene", rimanda al desiderio, ora più che mai irrealizzabile, di compassione e di accoglienza del diverso. Questo messaggio arriva a visione conclusa, dopo una scena finale maestosa e bellissima. E arriva in seguito a una fusione totale fra la macchina da presa di un regista che ama filmare gli interni o le vie delle città e la natura, scrigno corpi nudi che, ballando, ricordano "La città futura" di Matisse. La natura, nel Martone #MeToo va a braccetto con la Storia: con gli ideali socialisti del medico del paese e con i primi flussi migratori, con un mondo devastato dai colpi di fucile che il pacifismo forse non salverà, ma che la lingua del cinema di un artista fiducioso nell'umano ingegno di certo renderà meno brutto.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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