Boston - Caccia all'uomo, recensione del film di Peter Berg con Mark Wahlberg sugli attentati alla Maratona di Boston 2013

11 aprile 2017
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Un film con molte anime, che non nasconde i suoi intenti retorici e patriottici ma cerca al tempo stesso di essere una ricognizione più ampia e spettacolare di quegli avvenimenti.

Boston - Caccia all'uomo, recensione del film di Peter Berg con Mark Wahlberg sugli attentati alla Maratona di Boston 2013

I Red Sox e le figurine del baseball. La birra e il pollo fritto. I poliziotti e l'MIT. Un giovane marito che spiega alla moglie l'arte delle vocali strascinate e, ovviamente, la maratona. C'è tutta la Boston quintessenziale nel film di Peter Berg, già dai primissimi minuti.
C'è quell'intreccio di cose, persone, attitudini che serviranno per un racconto funzionale prima di tutto all'omaggio alla città, alle sue vittime, alla sua reazione. C'è l'America che si è fatta "great again" ben prima dell'ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump: e a riascoltare Barak Obama parlare all'indomani dell'attentato del 15 aprile 2016, in una scena del film, non può far pensare a quanto avrebbe potuto dire in una simile occasione, invece, l'attuale Presidente USA.

Presidenti a parte, sta tutto lì, in quei primi minuti, il senso di Boston - Caccia all'uomo, che in originale fa Patriots Day, e calza assai meglio. E allora poco c'è da sorprendersi, e forse da scandalizzarsi, se il film di Berg non si tira mai indietro di fronte a quella retorica patriottica che, invece, era tenuta tanto a freno in Deepwater - Inferno sull'oceano.
La fortuna di Berg, e la nostra, sta nel non dimenticarsi le esigenze del cinema: che non sono mica sempre le stesse dell'omaggio e della retorica, ma che sono anche quelle dello spettacolo, e magari - nei migliori casi - anche del dubbio.

Oltre a quella del cinema e dell'omaggio, macro-categorie che tutto sovrastano, Patriots Day è un film fatto della coesistenza di numerose anime diverse, che s'intrecciano e s'incastrano: in maniera evidentemente studiata, ma non per questo meno coerente e sentita, come non avviene in una realtà dove invece le anime diverse si rivolvono nel terrorismo.
Se da un lato Berg guarda alla ricostruzione aspra e semi-documentaristica come quella dei primi film di Paul Greengrass, dall'altro cerca di recuperare la spettacolarità castrofica di tanto cinema degli anni Settanta e di Irwin Allen in particolare, finendo con lo strizzare anche l'occhio ai prodotti più palesemente patriottici come il World Trade Center di Oliver Stone.
Un paradosso, forse, ma che trova i suoi equilibri grazie a una sincerità di fondo che evita le sbandate più esagerate, e che si aggrappa all'umanità dei personaggi che vengono raccontati come ad ancore di salvezza.

Su tutti, il poliziotto sciancato di Mark Wahlberg (che da Boston proviene davvero), l'elemento di finzione che fa da trait d'union tra luoghi e storie, al tempo stesso incarnazione degli intenti del regista e sguardo sulle cose dello spettatore: un punto fermo - ma sempre in movimento - al quale tornare, paladino di una moralità che vede, all'altro capo dello spettro, l'inquietante e infantile follia sociopatica di Dzhokar, l'attentatore che finirà arrestato, interpretato in maniera incisiva da Alex Wolff.
Ma entrambi questi personaggi, come tutti gli altri, sono solo tessere di un mosaico, elementi utili a Berg per ricostruire una mappa reale e metaforica della città di Boston, del suo spirito, dell'America tutta.

In un film che comunque trova nel cinetismo e nell'azione i suoi maggiori punti di forza, che ha la capacità di farsi ruvido e sgradevole - ma mai pornografico - di fronte alla messa in scena dell'attentato, che è sempre e comunque primariamente fisico ma non dimentica mai lo spirito, è allora la retorica a farsi padrona dell'aspetto morale, tra bandiere che sventolano, presidenti che parlano, cittadini che aiutano, e cerimonie al Fenway Park.

E se spazio per il dubbio c'è, è tutto nella scena dell'interrogatorio di Katherine Russell, la moglie americana di Tamerlan Tsarnaev, il secondo attentatore: una scena inquietante, nella quale Berg, pur saldamente dalla parte dei buoni e del bene, mette una di fronte all'altra due facce dell'America di oggi che sono circondate dal mistero della loro origine e dei loro scopi.
Due facce che Berg scruta, esamina, quasi a-la-Bigelow, ma che non riesce a comprendere, arrendendosi alla loro perversa ambiguità.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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