Biutiful - recensione del film di Alejandro González Iñárritu

31 gennaio 2011
1.5 di 5
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Piaccia o (soprattutto) non piaccia, Alejandro González Iñárritu è un autore. Questo è oramai innegabile. Perché avrà anche divorziato dallo sceneggiatore dei suoi tre film precedenti, Guillermo Arriaga, e avrà anche girato per la prima volta in Spagna ed in spagnolo, sua lingua madre. Ma l'arroganza con cui ostenta le sue capacità tec...

Biutiful - recensione del film di Alejandro González Iñárritu

Biutiful, il film di Alejandro González Iñárritu in concorso


Piaccia o (soprattutto) non piaccia, Alejandro González Iñárritu è un autore. Questo è oramai innegabile. Perché avrà anche divorziato dallo sceneggiatore dei suoi tre film precedenti, Guillermo Arriaga, e avrà anche girato per la prima volta in Spagna ed in spagnolo, sua lingua madre. Ma l'arroganza con cui ostenta le sue capacità tecniche e soprattutto la riproposizione di un cinema del dolore fasullo e ricattatorio sono rimaste invariate.

Biutiful è una nuova proposizione di una catena pressoché ininterrotta di disgrazie, questa volta calate nello squallido contesto dei quartieri più degradati di Barcellona, dove vive e "lavora" Uxbal: sensitivo in grado di parlare con i morti; empatico gestore delle attività (clandestine ma legali) di gruppi di immigrati africani e cinesi che se la passano malissimo e che finiranno peggio; ex moglie bipolare e alcolizzata che lo tradisce col fratello; due figli sul groppone; malato terminale di un cancro alla prostata.

Senza Arriga, Iñárritu si scrive il suo film da solo, rinunciando alla struttura a incastri ma non negandosi una pretestuosa e narrativamente inutile circolarità suggerita da un prologo ad effetto ripreso nel finale, ma soprattutto dimostrando che la sua mano è più pesante di quella del collega. È come se il compiaciuto e di certo non lieve né discreto modo di girare del messicano avesse avuto una traduzione diretta nel trattamento di sentimenti e psicologie, senza nemmeno avere dalla propria la perizia che nel primo caso è comunque palese.

L'incedere di Biutiful è pesante e spietato, nonostante l’anelito spirituale delle vicede: non si lavora di fioretto ma si brandisce una mannaia, non si sussurra ma si proclama a gran voce. E c'è dell’inquietante nella programmaticità con cui si persegue la descrizione e la stimolazione del dolore, legato alle vicende di un uomo perseguitato da fantasmi e sensi di colpa e alla ricerca di un egoistica autoassoluzione.
In questo quadro, un Javier Bardem dalla consueta gran presenza fisica e (lui sì) sincero nel tentativo di ritrarre condizioni tanto estreme e disagiate, appare quasi sprecato.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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