Ben is back: recensione del dramma con Julia Roberts e Lucas Hedges
Il doloroso percorso di una madre e del figlio tossicodipendente.
In un anno cinematografico americano molto concentrato sul rapporto fra genitori e figli, con questi ultimi spesso vittime di qualche dipendenza o di una necessità di ‘rieducazione’, il ritorno al cinema di Peter Hedges si segnala per la volontà di concentrare il suo racconto di una madre e un figlio in sole 24 ore, con un climax finale durante la notte di Natale. Una carriera particolare, quella di Hedges, iniziata con l’adattamento del suo stesso romanzo di enorme successo, Buon compleanno Mr. Grape, film che lanciò la carriera di Leonardo Di Caprio, regalandogli la sua prima nomination all’Oscar.
Successivamente, sia come sceneggiatore che poi anche come regista, Hedges ha dimostrato una particolare capacità di raccontare l’adolescenza e i giovani, come dimostrano Schegge di April, miglior interpretazione della carriera per Katie Holmes, o About a boy. Nel frattempo, il figlio Lucas ha fatto irruzione nel mondo del cinema con la splendida interpretazione, nominata all’Oscar, in Manchester by the sea. Occasione per sceglierlo nel ruolo del titolo in Ben is back, l’inatteso ritorno a casa in piene feste natalizie di un figlio tossicodipendente che sta cercando, senza successo e con vari tentativi finiti in maniera brutale, di smetterla con le droghe.
La prima sequenza indirizza subito emotivamente il film, con la potenza drammaturgica, e contro natura, di una madre (Holly) e una famiglia che teme, chiaramente spaventata, il ritorno a casa del proprio figlio. Da quel momento Hedges mette in scena la ricostruzione di un amore materno, un percorso davvero complesso, sempre in bilico fra il sollievo per vedere il figlio apparentemente in salute e la paura delle tante trappole disseminate nel paese in cui è cresciuto, e in cui è caduto nella dipendenza. Ci voleva una Julia Roberts in straordinaria forma per interpretare in maniera credibile questa madre, oltretutto alle prese con la responsabilità di altri figli e di un nuovo compagno, non il padre di Ben.
Il film non pretende di essere il racconto esaustivo di un rapporto così complesso e tormentato da anni, ma saggiamente si concentra sull’arrivo in città del figliol prodigo la vigilia di Natale, a suo modo un inatteso invasore che viola la loro stessa casa come una minaccia esterna, come in un western. Intuiamo subito come ne abbiano passate tante in precedenti tentativi, in cui Ben era stato accolto in maniera più calorosa, salvo deludere sorella, madre e patrigno. Questa è l’ultima volta, quella decisiva, per evitare la disgregazione finale della famiglia. Holly è quella che ci crede più di tutti, come potrebbe essere altrimenti, cercando di convincere gli altri, alquanto scettici. Tutti gli occhi sono puntati su Ben, in casa, in un pedinamento imbarazzato ma deciso che non si ferma neanche sulla soglia del bagno. La casa è il cuore del film, ma anche dei ricordi non sempre positivi di tutti quelli che la popolano, cercando di comportarsi come fosse un normale Natale, con un posto a tavola in più e la famiglia che si ricostruisce.
Una sceneggiatura concisa, ridotta intelligentemente a sole 24 ore, che crea ansia e alterne fasi di empatia dello spettatore nei confronti di Ben, sempre però con un occhio commosso verso il coraggio di mamma Holly. Una crisi che colpisce quel piccolo microcosmo, una periferia benestante che somiglia all’America da cartolina, in cui la sfida è quella di ritrovare la fiducia con amore, ma senza soffocare la responsabilità individuale e la forza di reazione di un ragazzo che cerca di rialzarsi. Ben è tornato, con la speranza che sia la volta buona.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito