Back in Action, la recensione: una commedia spy-action derivativa e per famiglie come Netflix comanda
Tutto è esattamente come ci si potrebbe aspettare, in questo film che segna il ritorno al cinema di Cameron Diaz e che è stato l'ultimo girato da Jamie Foxx prima del suo misterioso ricovero. Tutto è anche trascurabile, non fosse cartina al tornasole della filosofia di troppo cinema contemporaneo. La recensione di Back in Action di Federico Gironi.
Non è che ci sia molto da dire, in quanto critico, in quanto recensore, in quanto tutte quelle cose lì che riguardano il parlare seriamente del cinema, su un film come Back in Action.
Perché Back in Action è esattamente il film che ci può aspettare che sia dopo averne letto la trama, o visto il trailer, o anche solo sapendo che è la nuova commedia spionistica e d’azione di Netflix che vede tornare sullo schermo Cameron Diaz dopo lunghi anni di volontario pre-pensionamento, e fare nuovamente coppia con Jamie Foxx dopo averla già fatta in Ogni maledetta domenica di Oliver Stone e nel meno memorabile Annie - La felicità è contagiosa.
Magari possiamo sottolineare come la storia (e una sceneggiatura firmata ufficialmente dal regista Seth Gordon e da Brendan O'Brien, ma alla quale ufficiosamente pare abbiamo messo mano in tanti, forse troppi) sia fin troppo derivativa anche per un prodotto di questo genere. Perché nella vicenda di una coppia di spie che ha mollato il lavoro e messo su famiglia e che dopo 15 anni viene ritirata per i capelli dentro un’intricata vicenda che mette a rischio la vita dei loro figli, e ancora di più nei modi in cui questi due protagonisti vengono ritrovati dai loro vecchi nemici, risuona un po’ troppo rumorosa l’eco del recente The Family Plan (che è molto molto simile, e che però è targato Apple, e (quindi) si è imposto degli standard qualitativi un po’ più severi di quanto non accada qui).
Facciamo però finta di non curarci di certe assonanze, o del fatto che Back in Action stia ai film di Mission: Impossible - che evidentemente prende in qualche modo a modello per certe scene - come una macchina della Bburago sta a una vera auto di Formula 1, o delle citazioni implicite di Skyfall o di altri riferimenti ancora. Facciamo però che ci accontentiamo della giocosità del tutto, una giocosità che emerge man mano che la storia va avanti e che la posta in gioco si fa più pesante, e che a un certo punto trova anche la sua incarnazione fisica nel personaggio interpretato da Jamie Demetriou (il dentone di Fleabag).
Facciamo, soprattutto, come in fin dei conti è giusto che sia, che di questo film seguiamo in particolare le traiettorie familiari: i figli che scoprono cose nuove e incredibili sui genitori, la comparsa di una nonna di cui nessuno sapeva niente, le avventure che tutti affrontano come modo per appianare le tensioni tra generazioni, i ragionamenti degli adulti sull’educazione, il predicare bene e razzolare malino, e via discorrendo.
Perché alla fine Back in Action nasce esattamente per questo motivo: per essere visto sul divano alla domenica pomeriggio da tutta la famiglia, sorta di massimo comune divisore dell'intrattenimento di tutti i membri, grandi e piccoli. Soprattutto i secondi.
Ecco che allora, forse, qualcosa che vale la pena dire, riguardo a questo Back in Action, per uno che di mestiere cerca di capire che cosa dica un film di sé stesso e del mondo in cui è nato e inserito, forse c’è.
Forse, in questo suo essere così poco esplicitamente ma assai intrinsecamente un family movie, e uno di quei family movie che ammicca assai di più ai più giovani che non ai più grandi, Back in Action è uno di quei film che incarnano alla perfezione la filosofia di Netflix e di tanto altro cinema contemporaneo, che prevede come target privilegiato i ragazzini e che - al contrario di quanto avveniva nel cinema di qualche decennio da, e penso qui soprattutto al cinema degli anni Ottanta - non prevede tanto una qualche forma di adultizzazione di storie apparentemente per ragazzi e dei ragazzi stessi (protagonisti o spettatori che siano), un preparare i più giovani alle complessità e alle ruvidità del mondo, quanto l'infantilizzazione delle storie per adulti, lo smussamento di ogni asperità, la semplificazione di ogni strutturazione.
Va bene l’intrattenimento, però forse c’è modo e modo.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival