As Bestas: recensione del film di Rodrigo Sorogoyen

19 ottobre 2022
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Si conferma il grandissimo talento di questo regista spagnolo in questo thriller imploso (vincitore di 9 premi Goya) nel quale, come sempre, Sorogoyen fa grande attenzione ai sentimenti dei personaggi. E regala una sorpresa narrativa notevole. La recensione di As Bestas di Federico Gironi.

As Bestas: recensione del film di Rodrigo Sorogoyen

Non è che possiate stupirvi. Non è che possiate cadere dal pero. Perché noi ve lo stiamo dicendo da tempo, che Rodrigo Sorogoyen è uno dei più interessanti e cristallini talenti del cinema mondiale. Lo abbiamo detto parlando di film come Che Dio ci perdoni e Il Regno, e ancora quando è arrivata anche in Italia la sensazionale serie Antidisturbios.
Se possibile, con il nuovo As Bestas (le bestie), Sorogoyen è riuscito a fare ancora di meglio rispetto al suo cinema precedente, dirigendo un film bellissimo, compattissimo, nerissimo eppure capace delle consuete, sobrissime aperture al sentimento che sono squarci nei cuori degli spettatori.
Un film che ti afferra alla prima scena e non ti lascia andare fino alla fine.

La trama è essenziale. Ci sono Denis Ménochet e Marina Foïs (fenomenali), coppia francese che si è trasferita in un paesino sperduto e semidisabitato della Galizia per coltivare il loro sogno di mettere su un’azienda agricola ecosostenibile, e magari ristrutturare qualche vecchia casa disabitata per portare lì qualche turista. Lì però un’azienda norvegese voleva realizzare un parco eolico, e il fatto che la coppia non abbia voluto vendere il loro terreno, convincendo altri a fare lo stesso, li ha resi invisi, per usare un eufemismo, a quelli che invece avrebbero volentieri intascato del denaro per cambiare vita. Specie a una coppia di ruvidissimi fratelli (Luis Zahera e Diego Anido, fenomenali anche loro), che inizia a prendere di mira, con violenza dapprima solo psicologica, poi anche fisica, “il francesino” e sua moglie.

In As Bestas c’è un’attenzione ossessiva, un’osservazione statica ma partecipe di un mondo naturale che sta a metà tra l’utopia contadina e il bosco scuro, spaventoso e autunnale delle fiabe, alle case diroccate, ai cancelli sgangherati che confinano il bestiame. Agli scarni arredi dell’unico bar del paese, dove scintillano le provocazioni dei locals contro “il francesino”, contro l’invasore, quello che gli sta togliendo soldi che spettano loro dopo una vita intera di fatiche contadine.
Ambienti e situazioni possono ricordare, ovviamente, titoli come Cane di paglia e Un tranquillo weekend di paura, ma non ci sono derivazioni dirette, è tutta suggestione cinefila: As Bestas è tutto farina del sacco di Sorogoyen.
Un Sorogoyen che genera fin dal primo minuto una tensione altissima, nel suo film, che rimarrà tale, e quasi sempre implosa e sotterranea. Il personaggio di Ménochet e quello di Luis Zahera, il suo acerrimo nemico e vicino, sono i due poli attraverso i quali Sorogoyen fa scorrere un’elettricità quasi insostenibile, che si genera dal modo in cui il regista li inquadra e gestisce i loro silenzi, dalle battute e dai dialoghi incredibili che mette loro in bocca, e da un controllo pazzesco sulla recitazione.

Poi, arriva la svolta.
Arriva un evento che in qualsiasi altro film sarebbe stato risolutivo, e conclusivo, ma che per Sorogoyen è l’apertura di un capitolo nuovo, conseguente e conclusivo della storia. Quello che forse gli sta più a cuore, perché di cuore e di sentimenti, di legami e non (solo) di frizioni, parla. Parla di una storia d’amore, e della sua permanenza, testarda, nonostante tutto.
Ancora una volta, silenzi e scambi laceranti (come quello tra il personaggio di Marina Foïs e quello della figlia, ma anche come quello tra la donna e la madre dei suoi due vicini-nemici, che rimane muta), che tramutano il thriller in devastante e commovente dramma sentimentale.
Un dramma che parla d’amore, morale, giustizia: quello che Sorogoyen ha sempre raccontato, a modo suo, in ogni suo film.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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