You Were Never Really Here: recensione del film con Joaquin Phoenix in concorso al Festival di Cannes 2017
Un cupissimo viaggio nella mente devastata di un uomo traumatizzato.
Non ha molto senso parlare della trama del nuovo film di Lynne Ramsay, You Were Never Really Here, proposto in una versione non definitiva in concorso - come ultimo film - al Festival di Cannes 2017. Sarebbe come vedere una strada dall’alto, apparentemente dritta e agevole, salvo rendersi conto che in realtà nasconde continui sali e scendi e l’altro asse è un continuo intrico, un nodo inestricabile. La Ramsay ha adattato il romanzo breve di Jonathan Ames, da noi intitolato da Baldini & Castoldi "Non sei mai stato qui", proponendo brandelli violenti di una vita distrutta, riproponendo dei flash visivi di un malato grave della Sindrome di stress post traumatico; momenti di violenza inaudita accompagnati dalla colonna sonora di Johnny Greenwood e qualche raro slancio di tenerezza musicale.
Toriamo alla trama: in questo caso ci sentiamo di consigliare una lettura prima della visione, in modo da sgombrare il viaggio da ogni attenzione a uno sviluppo narrativo che ostacola il percorso voluto, privo di punti di riferimento spazio-temporali. Il protagonista è Joe, interpretato da Joaquin Phoenix, ex marine ed ex agente dell’FBI che ha visto troppe tragedie nella sua vita e troppe scene del crimine nella sua carriera. Vive solitario, nelle pieghe nascoste della società metropolitana americana, autoinvestito della missione di salvatore di giovani donne incastrate nei racket della prostituzione. Un politico di New York l’incarica di ritrovare la figlia e Joe scopre un giro di pedofilia e corruzione ad alti livelli. Niente lo trattiene dal reagire con violenza inaudita.
Ora memorizzate la storia, come un libretto prima di andare all’opera, e vedendo il film potrete sospendere una visione razionale per farvi trascinare da uno stile formale totalmente diverso dal consueto; nervoso, concentrato su primissimi piani, frammentate rievocazioni traumatiche e improvvise esplosioni di violenza. Un collage che inquieta e rimane incrostato dopo la visione, come sangue rappreso. Più che conquistare in pieno, il film della Ramsay tormenta come avessimo in testa un apparecchio VR e potessimo vivere in prima persona il disastro emotivo di un personaggio ormai oltre ogni limite della disperazione. Quasi senza dialoghi, se non qualche borbottio disperato, valvola di scarico di un corpo malato, trasforma un genere molto frequentato in un esperimento nuovo e coraggioso, accettandone le regole, ma sottoponendole a una cura d’astrazione che spiegano il titolo You Were Never Really Here, Non sei mai stato qui.
L’assuefazione inevitabile alla violenza, e una recitazione meno in sottrazione di altre volte di Phoenix, compromettano la totale riuscita del film, ma cosa importano le analisi razionali, quando il viaggio richiesto è così irrazionale? Sicuramente è uno di quei progetti realizzati solo grazie al coraggio e l’audacia dei nuovi venuti della produzione cinematografica: i servizi di streaming, in questo caso il più cinefili Amazon Studios.
Nella programmazione sempre più prevedibile del vostro cinema sotto casa, che sia un multiplex o una sala d’essai nel centro città, You Were Never Really Here è un oggetto inconsueto e inclassificabile. Dopo la visione imporrà la sua compagnia per ore, che lo vogliate o no, non è materiale da instantaneo ‘mi piace’ o stroncatura facile. Richiede tempo, dubbi e disagio, come il cinema ogni tanto riesce ancora a pretendere. Astenersi se twittatori da titoli di coda.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito