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Highest 2 Lowest: Incontro con Spike Lee e Jeffrey Wright tra Kurosawa, la cinefilia e... Prisencolinensinainciusol

Spike Lee, assieme a due dei protagonisti - ma non Denzel Washington - ha presentato fuori concorso a Cannes il suo nuovo film, Highest 2 Lowest.

Highest 2 Lowest: Incontro con Spike Lee e Jeffrey Wright tra Kurosawa, la cinefilia e... Prisencolinensinainciusol

E' stata molto animata, poco moderata, allegra e un po' anarchica la conferenza stampa di Highest 2 Lowest, il film con cui Spike Lee torna al festival di Cannes 7 anni dopo il Grand Prix a BlacKkKlansman e a ben 36 dalla Palma d'Oro per Fa' la cosa giusta. Alla sua sesta partecipazione al festival, un Lee spumeggiante, coloratissimo e in gran forma, ha portato fuori concorso questo remake moderno di Anatomia di un rapimento di Akira Kurosawa (tratto a sua volta dal romanzo di Evan Hunter, - aka Ed McBain - "King's Ransom"), dove torna a lavorare per la quinta volta con Denzel Washington, Palma d'Oro ad Honorem, 18 anni dopo Inside Man. Si tratta di un film dai molti ritorni, che esalta il grande amore di Spike Lee per New York, la musica e il cinema: “Sono un cinefilo”, dichiara orgogliosamente, e spero che qualche cinefilo noti gli omaggi nel film, ad esempio a La parete di fango di Stanley Kramer, nella scena con Tony Curtis nel treno che abbiamo rifatta nella metro e a Il braccio violento della legge di William Friedkin nella scena in cui Dean Winters insegue i ricattatori, un omaggio al grande Gene Hackman. Ci sono parecchie citazioni e omaggi ai grandi film e ai grandi attori che amo e che mi piace mettere nel mio lavoro”. Aggiunge poi il riferimento ai film di Scorsese e a Quel pomeriggio di un giorno da cani. Non si tratta però di un progetto originale, come tiene a specificare, visto che circola da parecchi anni e ha cambiato vari registi, ma quando glielo hanno proposto gli è sembrata l'occasione giusta sia per rendere omaggio ad uno dei suoi maestri, Akira Kurosawa, che per tornare a lavorare con l'amico Denzel, già scritturato per il film. Ma, dicevamo, di Highest 2 Lowest nello specifico si è parlato poco, più invece di cinema in generale, del basket e del suo amore per i Knicks. Lee ne ha rivelato la maglietta sotto la felpa e si è detto dispiaciuto di dover saltare i primi due incontri di playoff con la rivale Indianapolis al Madison Square Garden, causa festival.

Erano presenti alla conferenza Jeffrey Wright, che nel film lavora col figlio Elijah e l'attrice Ilfenesh Hadera. Anche se non è stata un'idea originale, Spike Lee ricorda di essere entrato in contatto con i lavori di Kurosawa quando era alla scuola di cinema della New York University, dove insegna cinema da 30 anni ed è orgoglioso che alcuni dei suoi allievi presentino i loro lavori al festival, e dice: “Sono venuto a Cannes col mio primo film, She's Gotta Have It, la cui premessa viene da Rashomon, dove c'è uno stupro e un omicidio e i personaggi danno la loro versione di quello che è accaduto. E nel mio film c'erano tre uomini ognuno in una relazione con Nola che facevano le loro affermazioni in merito al loro rapporto con leiJeffrey Wright lavora per la prima volta con Spike Lee: “Siamo stati vicini a collaborare diverse volte in passato e ci conosciamo da sempre, vivo nel quartiere in cui Spike è cresciuto (…). Nel nostro primo incontro siamo andati insieme a vedere le cose che lui ha donato al museo di Brooklyn per questa retrospettiva (qui Spike Lee interviene dicendo 'non ho donato un cazzo', suscitando l'ilarità generale), insomma quello è stato il nostro primo incontro di lavoro e ha avuto senso perché sono entrato negli interessi di Spike, nella sua immaginazione, in questi incredibili cimeli storici e politici di cui ha una collezione eccezionale, che va da foto sconosciute di Muhammad Alì a questa enorme bandiera dell'African Nartional Congress sudafricano firmata da Nelson e Winnie Mandela. Ha un grande spettro di interessi da una prospettiva molto particolare, lui è uno dei guardiani del punto di vista black in America. Spike è unico, ha un modo di lavorare tutto suo ed è stato elettrizzante essere sul set con lui e Denzel”.

Ilfenesh Hadera, che ha lavorato nella serie tv She's Gotta Have It, racconta: "Il primo giorno sono arrivata sul set ed ho esplorato questo mondo bellissimo che lui aveva creato, sono passata oltre il monitor dove c'era la sedia di Spike e sul retro aveva scritto “coach”, Ovviamente quello è lo Spike amante dello sport ma è anche indicativo dell'ambiente che stabilisce sul set. Si lavora come una squadra”. Quanto a New York, Jeffrey Wright ribadisce che nessuno fotografa e rappresenta New York come Spike Lee, a parte ovviamente i maestri citati, Scorsese e il film di Lumet, che sono unici a modo loro, ma per quanto riguarda LeeC'è una connessione davvero intima tra la sua personalità e quella della città, è straordinario. Abbiamo girato a Brooklyn, nel Bronx, a Manhattan e dovunque tu vada Spike conosce ogni persona e ogni angolo. L'amore che riceve e che ha per la città viene espresso nei suoi film come nessun altro”. Una giornalista italiana chiede a Spike Lee come mai nel film c'è la canzone di Adriano Celentano Prisencolinensinainciusol e il regista risponde di aver trovato molte cose su Instagram (dove è molto attivo) e di aver visto lì la clip, aver amato la canzone e deciso di metterla nel film. “Abbiamo contattato i suoi rappresentanti per metterla nel film perché volevamo farne un'orchestrazione con parole inglesi. Sono andato a Milano, l'ho fatta sentire al maestro e ha detto che andava bene. Howard Drossin, che è qua presente, si è occupato della colonna sonora inclusa l'orchestrazione di questa canzone di cui non ho mai saputo pronunciare correttamente il titolo”. (nemmeno la giornalista in questione, a cui Lee chiede di aiutarlo, sa farlo, ndr)

Il regista evita poi spiritosamente a una battutaccia sull'attuale presidente quando gli viene chiesto se i social non abbiamo contribuito a minare i “valori americani”, dicendo che visto lo stato attuale non sa se ha senso parlare di valori, e che la moglie gli ha detto “Spike, stai molto attento a quello che dici!”, ma aggiunge di non demonizzare un mezzo che usa soprattutto per il cinema e lo sport. Quando parla di quello che un aspirante regista non deve mai fare, riferendosi ai suoi allievi, è dire la parola “provare”, non ammessa per un lavoro che richiede il fare e la passione. Tanto che quando uno studente dice “provo”, la sua assistente corre nel suo ufficio e prende un poster di Yoda con la scritta "non dire mai provo, ma fai e basta” Si parla poi della crisi del cinema americano che, come in Italia, coinvolge una marea di tecnici e lavoratori che non hanno alternative, e per la quale nessuno sa indicare una soluzione anche se sono seriamente preoccupati.

Nel finale si torna a parlare del film, ed è Jeffrey Wright, presente anche nel cast di La trama fenicia, a parlare del dilemma morale che affrontano i personaggi suo e di Washington:Quello che trovo interessante di questo film rispetto a Kurosawa è che tu hai aggiornato e modernizzato è la relazione tra il mio personaggio e quello di Denzel, perché nell'originale è una relazione gerarchica, è un po' come un maggiordomo, è sottomesso, ma qua c'è un equilibrio più profondo che penso sia più adatto alla New York di oggi. Al tempo stesso c'è una disperazione e una fragilità. Il dilemma morale è tra l'amore e i soldi e cosa si è disposti a fare per questo. Ed è il mondo in cui viviamo adesso dove è tutto in vendita, tutti sono in vendita e tutto ruota intorno a scambi economici. E penso che possiamo fare meglio di così, dobbiamo farlo".

Come voi, anche noi non vediamo l'ora di vedere Highest 2 Lowest, di cui non conosciamo ancora la data d'uscita nei cinema italiani. Consoliamoci intanto col trailer.

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  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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