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Castelrotto, un noir sulla complessità di un territorio: intervista al regista Damiano Giacomelli

Un maestro amareggiato da un trauma in un territorio dell'entroterra marchigiano in via di spopolamento. Castelrotto è un noir fra i monti Sibillini presentato al Sudestival di Monopoli e in uscita in sala. Abbiamo intervistato il regista Damiano Giacomelli.

Castelrotto, un noir sulla complessità di un territorio: intervista al regista Damiano Giacomelli

Castelrotto. Un titolo che rievoca un nome, di fantasia, ma molto significativo. Un piccolo paese sempre più svuotato nell’interno della provincia di Macerata, al centro geografico dell’Italia, fra i Monti Sibillini. È in questo universo chiuso e dal fascino atavico che si sviluppa la quotidianità di Ottone, ex cronista locale e maestro elementare in pensione nel film di Damiano Giacomelli, che in quei panorami vive ed è cresciuto.

Presentato al Sudestival di Monopoli, Castelrotto arriva dal 10 febbraio in sala distribuito da Yuk! Film. Racconta di un misterioso misfatto che scuote la vita della piccola realtà appenninica, da sempre fuori dalla cronaca e dalla storia. “Ottone (Giorgio Colangeli) approfitta dell'episodio per riprendere la penna in mano e vendicarsi di un vecchio torto subito. Il suo piano è chiaro: manipolare il racconto del nuovo crimine per far accusare gli uomini che gli hanno rovinato la vita. Un revenge movie sulle fake news di paese, guidato da un testardo Donchisciotte di provincia”.

Una descrizione appropriata per un noir sui generis, aggrappato al territorio con contagiosa cocciutaggine, come chi lotta oggi giorno per evitare che alcune piccole realtà non soccombano sotto il peso di emigrazione e svuotamento. “Ho viaggiato per studio in ambienti più culturali e cittadini, ma sono originario delle Marche”, ci ha detto il regista. “A un certo mi sono reso conto che i progetti a cui tenevo di più riuscivo meglio a svilupparli in quella realtà, l’entroterra maceratese e altre zone interne simili, che conosco da molto tempo”. Sta proprio guidando fra quei tornanti, mentre lo raggiungiamo al telefono, ovviamente dopo essersi fermato. 

A Castelrotto mi sono avvicinato attraverso la cronaca locale, piccoli fatti che ho racconto fra il 2015 e il 2017, intorno al periodo del sisma che abbiamo subito in quelle zone nel 2016, e che in qualche modo è raccontato nel film. Partendo da quei fatti ho filtrato la percezione attraverso Ottone e ai personaggi che ruotano intorno a lui, che hanno a che fare con incontri ed esperienze vissute in quel territorio. Non ho deciso programmaticamente di fare un ‘film marchigiano’, è stato un processo naturale, circondato come sono da questo mondo. Anche la voce, i dialoghi, li pensavo in dialetto e mi sembrava il film giusto per proporli così. Il territorio esce anche da quelle sonorità, da personaggi che funzionano proprio perché si trovano lì. Non abbiamo una tradizione di cinema, anche se negli ultimi quindici anni si è sviluppata una realtà produttiva, anche grazie alla locale Film Commission. Abbiamo fatto molta strada e molti dei compagni di viaggio della troupe di questo film li conoscevo da precedenti progetti. È un modo di intendere il cinema avventuroso, basato sul confronto prima umano che professionale. Il che ci ha permesso di superare momenti complessi, come una sospensione delle riprese dopo due settimane per il Covid-19. Per un film a bassissimo budget poteva essere letale, ma la forza del gruppo è stata una risorsa”.

Un gruppo costituito anche dal cast, che ha sposato in pieno il progetto. Su tutti Giorgio Colangeli, insieme a Antonella Attili, Denise Tantucci, Fabrizio Ferracane, Mirco Abbruzzetti e Giorgio Montanini. “Ottone rifugge dalle polarizzazioni contemporanee. Mi interessava raccontare un piccolo intellettuale di paese decaduto, che ha ormai abdicato ai valori progressisti, con un passato che ritorna, in cui era positivamente di ispirazione per tanti paesani. Un trauma lo porta ad abbandonare la sua natura per una crociata vendicativa. Almeno all’inizio del film, poi il film mostra la sua natura complessa, solo apparentemente contraddittoria. Ottone è il perno, se racconti lui racconti tutto il paese. Come giocando a bocce, i personaggi influenzano l’un l’altro in un ecosistema raccolto, in corso di spopolamento. Una mossa di Ottone coinvolge anche gli altri compagni della bocciofila. Giorgio Colangeli è stato uno dei primissimi a leggere la sceneggiatura, è stato subito molto partecipe, al nostro primo incontro già sapeva a memoria molti dialoghi. È stato generosamente coinvolto, in un set dalla forte dimensione comunitaria”.

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