Woody - la recensione del documentario dedicato al grande Woody Allen
Riuscita riduzione cinematografica del doc in due parti di 3 ore e mezza realizzato dallo stesso Robert B. Weide per la PBS
Nel novembre del 2011 la PBS (il network televisivo pubblico degli Stati Uniti d’America) ha trasmesso un lungo documentario in due parti, per la serie intitolata American Masters, dedicato a Woody Allen.
Forte del risultato e del successo conseguiti, il regista, produttore e montatore Robert B. Weide ha ridotto i 195 minuti di durata del prodotto televisivo a 113: il risultato è un film destinato alle sale cinematografiche che è stato presentato al Festival di Cannes nel 2012 e che ha fatto la sua apparizioni in mezza Europa.
Può aver perso per strada un’oretta e mezza scarsa di clip, di interviste, di repertorio, il documentario di Weide. Ma nel passaggio dal cut televisivo (fino a poco tempo fa vedibile in streaming) a quello cinematografico non ha perso la sua capacità di interessare e intrattenere, il suo stile diretto e privo di sovrastrutture, la sua intrinseca natura di omaggio. E, ancor di più, non ha perso la sua efficacia nel ritrarre, senza necessariamente voler svelare, il grande mistero legato al genio e alla carriera di Woody Allen.
Parte dagli esordi di Allen come giovanissimo autore umoristico, il film di Weide, ne racconta il diventare riluttante stand-up comedian prima e stella della tv poi, fino agli esordi del mondo del cinema (senza però far menzione di Che fai, rubi?) con Ciao Pussycat, Prendi i soldi e scappa e tutto quel che ne è seguito: la cesura di Io e Annie, gli Oscar, l’alternanza dei registri, i successi, gli insuccessi, i film più recenti.
Soprattutto, racconta la straordinaria capacità creativa di Allen di pensare e realizzare film dopo film, anno dopo anno; e quella industrial-imprenditoriale di farlo sempre e comunque nella massima autonomia, senza alcuna interferenza esterna, nonostante tutto si possa dire del newyorchese tranne che, con la notabile eccezione del recente Midnight in Paris, sia uno che sbanca i botteghini.
Sono questi, tra gli altri, gli elementi primari legati al mistero del genio e della carriera di Allen.
Un personaggio schivo eppure sincero, ambiguo eppure sempre coerentissimo: il comico che si prendeva a pugni con un canguro in tv e il raffinato e colto intellettuale che mescola Bergman, filosofia e psicanalisi; l’uomo riluttante ad apparire eppure sempre performer di sé stesso, forte di un personaggio pubblico iconico da decenni, di uno status inamovibile e di un privato scoppiettante e controverso.
Sono questi, tra gli altri, gli ingredienti di un film che, nei toni e nei ritmi, cerca di omaggiare la profondità leggera e disimpegnata di quelli del suo oggetto di studio.
Di una biografia sintetica e accurata, che non evita mai del tutto le controversie, di un ritratto di una delle grandi figure della cultura mondiale degli ultimi cinquant’anni.
E, alla fine di Woody, dopo aver visto lui, leggero e sornione, creativo e brillante, incessabile e determinato, non si può far altro che ammirare la sua versatilità, il suo genio e il suo instancabile produrre, incurante degli altri e dei bassi. Non si può far altro che pensare che, alti o bassi che siano, ha comunque ragione lui.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival