Wicked: la recensione del musical nel magico mondo di Oz con Ariana Grande e Cynthia Erivo
Da vent'anni è un successo fra Broadway e West End ora diventa un musical per il grande schermo con una sorprendente Ariana Grande e Cynthia Erivo. Buon sentimenti e grandi voci per Wicked. La recensione di Mauro Donzelli.
Fedele fino in fondo. Se esiste un adattamento che ripercorre l’originale, allora ecco che si fa valere per concorrere al primato la versione per il grande schermo di Wicked, musical ormai classico contemporaneo fra West End e Broadway. O meglio la prima parte, in attesa della seconda, che corrisponde al primo atto di un musical che per il pubblico anglosassone, in particolare, meno quello italiano, rappresenta una parte importante dell’immaginario pop di quel genere degli ultimi vent’anni. Come al solito, parlando di musical, il pubblico italiano è sempre meno affezionato e ricettivo, respingendo spesso l’ibrido fra recitazione e canzoni.
Questa volta ci troviamo nel meraviglioso mondo di Oz, molto tempo prima dell’arrivo di Dorothy dal Kansas nel classico del ’39 di Victor Fleming con Judy Garland. In comune c’è un universo, per dire à la cinecomic, creato dal romanzo di L. Frank Baum del 1900, filtrato dal romanzo Strega - Cronache dal Regno di Oz in rivolta, scritto da Gregory Maguire nel 1995. Come dire, c’è molto materiale di partenza per questa storia. E si vede, vedendola declinata in uno spettacolare blockbuster dopo che molti altri film hanno affrontato tematiche a ambientazioni simili, talvolta ispirandosi a propria volta da quel magico mondo.
Di magia c’è prima di tutto quella musicale, ci sono le canzoni che ritornano, con qualche nuova aggiunta per rinfrescare il repertorio, e soprattutto le due protagoniste scelte per interpretare due personaggi così diversi da diventare grandi amiche, e poi non più. Se Cynthia Errivo conferma le sue qualità di interprete e il carisma come cantante nei panni di Elphaba, in attesa di diventare la Malvagia Strega dell’Ovest, la sorpresa arriva da un Ariana Grande spassosa e insospettata comica slapstick come Glinda, in odore di trasformazione nella Buona Strega del Nord. Le canzoni sono una garanzia, specie per chi ha visto e amato il musical, e volerà con le attrici sulle note e le parole delle grandi hit, come quella Defying Gravity che accompagna la fine un po’ mozzata di questa prima parte. È però il tambureggiamento insistito sul rispetto delle diversità e la conciliazione di posizioni opposte a risultare, nella prima parte, un poco pedante e fin troppo didascalico. Al punto di irrigidire e omologare il personaggio di Elphaba, mettendo però ancora più in rilievo la leggerezza sbadata di G(a)linda.
Un viaggio nell’universo fantastico di Oz e di Wicked che non regala troppe sorprese, procede però con una sapiente opera di allargamento degli orizzonti dell’opera teatrale. Letteralmente punta verso l’alto, volando sui cieli di Emerald City sulle note della canzone più celebre, che non casualmente in italiano suona “sfidare la gravità”. Quando l’altra gravità, quella da parabola tanto condivisibile quanto ormai consunta sulla tolleranza reciproca, lascia spazio alla leggerezza di una gravità sfidata senza freni, cogliendo in pieno l’energia naturale di una storia lasciata sì in sospeso, ma che a mezz’aria si trova bene e fa emergere l’emozione, in attesa del sipario e di un futuro più nebuloso e inquietante.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito