We Live in Time: la recensione del dramma romantico con Florence Pugh e Andrew Garfield

23 ottobre 2024
3.5 di 5

Una storia romantica lungo dieci anni di vita fra l'innamoramento e una malattia che sconvolge la quotidianità. Senza perdere in leggerezza We Live in Time commuove anche grazie a due protagonisti splendidi come Florence Pugh e Andrew Garfield. La recensione di Mauro Donzelli.

We Live in Time: la recensione del dramma romantico con Florence Pugh e Andrew Garfield

Una storia d’amore, in dieci anni. Una famiglia che si costruisce a partire da un primo sguardo, dopo un incontro casuale, sviluppandosi fra gli alti e bassi di una coppia alle prese con le sfide della vita. È questo il viaggio di un film che fin dal titolo sceglie una semplicità che non nega una rappresentazione onnicomprensiva. Visto che, come ha detto la protagonista, Florence Pugh, il film racconta della cosa più semplice, del fatto che “siamo qui per una ragione sola: amare ed essere amati”. E di amore ce n’è tanto, in questo film diretto dal regista che ama dividersi fra cinema e teatro, l’irlandese John Crowley, già narratore dell’emigrazione dal suo paese all’America in Brooklyn, con Saoirse Ronan. È un altro autore teatrale, Nick Payne, già candidato ai Tony e al Laurence Olivier Award, ad aver scritto la sceneggiatura, al tempo stesso molto classica e profondamente contemporanea, di We Live in Time.

Muovendosi costantemente e senza forzature fra tre momenti principali della storia d’amore fra Almut (Florence Pugh) e Tobias (Andrew Garfield), una chef giovane ma già molto apprezzata e in costante ascesa, dalla tempra e un carattere deciso, capace di condividere emozioni più con i suoi piatti, e un rappresentante di un colosso inglese dei cereali per la colazione, segnato da un divorzio, con una tenerezza schiva alimentata da un viso pronto ad aprirsi alla commozione e un forte desiderio di paternità. Un incontro casuale fa conoscere questi due personaggi, che sembrano assumere le caratteristiche con cui i due interpreti sono più conosciuti dal pubblico ed entrano dopo poche battute nel cuore di chi guarda. Due magnifici attori, non sappiamo se definirle star, ma sicuramente confermano come un genere spesso sottovalutato come la commedia romantica, seppure ibridata con il melodramma e il cancer movie, possa spiccare il volo solo se sostenuto da due interpreti di livello assoluto, come dimostrano di essere in We Live in Time Florence Pugh e Andrew Garfield.

Un genere di cui abbiamo o meglio avremmo bisogno, nobilitato per alcuni decenni dalla creatività britannica con arguzia e stile, ormai dalla linfa in via di esaurimento, a cui sembra che a Hollywood, ma anche nelle realtà indipendente, nessuno creda più. Eppure basti pensare quanti film diventati eterni evergreen, a cui tutti siamo legati, rispondano proprio a queste caratteristiche.

Sulla carta, e a una lettura della trama più o meno sbrigativa, sembrerebbe uno di quei film da affrontare con fazzoletti in quantità. E non c’è dubbio che l’emozione colpisca, ma lo fa senza scadere nel patetico e con una leggerezza diffusa che consente di interiorizzare gli scossoni senza danni superiori al consentito, senza sentirsi usati, anche grazie a una struttura narrativa molto efficace che alterna montagne russe emotive, una risata e il disincanto dopo un picco drammatico, pur con qualche momento più convenzionale verso la fine. Se ultimamente si tende a raccontare momenti di apparente normalità, evitando le cosiddette scene madri, qui il ricordo selettivo dell’ipotetica memoria di un amore vissuto propone momenti chiave che non sembrano esserlo, soprattutto per la natura timida e un po’ goffa di lui e superficialmente rigida e strafottente di lei.

Una struttura fra About Time e 500 giorni insieme, con un gioco di specchi fra eventi che rompono con la normalità precedente e le conseguenze sui personaggi, mantenendo un tono mai eccessivamente enfatico, nonostante la drammaticità nello scandirsi di tempo che scorre insieme alla malattia. Il tutto curando un’estetica piacevole, una morbidezza nei volti e nei toni, fra il ristorante di lei, l’appartamento in città con tipico bow-window e il casolare in campagna - so british - in cui la famiglia aumentata di numero con la nascita di una figlia, tanto discussa e poi attesa, finisce a vivere. We Live in Time riduce in frantumi fin dalla prima scena le nostre difese emozionali e ci coinvolge ai limiti dell’intontimento partecipato per buona parte del suo sviluppo, con tanto di sorrisetto partecipe. Due protagonisti di cui ti innamori e che ti entrano nel cuore, capaci di comunicare col viso più che con le parole un’amore puro e ostico, con una sincerità implacabile come la dittatura del tempo che segna le nostre vite.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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