Volontè: L'uomo dai mille volti, la recensione del documentario sul grande attore
A poco più di 30 anni dalla prematura scomparsa, Francesco Zippel ci consegna un ritratto essenziale e toccante di Gian Maria Volontè, nel documentario Volontè: L'uomo dai mille volti. La recensione di Daniela Catelli.
Celebrare l'anniversario di nascita o di morte di un artista ci ricorda quanti attori e registi straordinari abbiamo avuto nella nostra storia. Queste operazioni sono tanto più necessarie in un momento storico in cui la “prevalenza del cretino”, profetizzata - è il caso di dirlo - da Fruttero & Lucentini, tende a cancellare ogni memoria di eccellenza del nostro passato. Tra queste fondamentali ricorrenze del 2024, oltre al centenario della nascita di Marcello Mastroianni, c’è il trentennale dalla prematura scomparsa di un altro carismatico antidivo, Gian Maria Volontè, a cui Francesco Zippel dedica il bel documentario Volontè: L’uomo dai mille volti, che dopo il concorso nella sezione documentari sul cinema di Venezia Classici alla Mostra del cinema di Venezia arriva al cinema per soli tre giorni e non va assolutamente perso. Siamo sicuri che, vedendolo, soprattutto i più giovani resteranno colpiti dalla personalità di uno dei nostri interpreti più geniali e trasformisti, interprete teatrale quasi per caso (bellissimi i ricordi della compagna d’Accademia Gianna Giachetti), con quella voce un po’ nasale, la dizione forse imperfetta, che seppe fare dei suoi difetti virtù, tirando fuori in modo dirompente la verità che aveva dentro.
Un uomo che riuscì sempre a coniugare la passione politica che lo animava, in contrapposizione estrema all’esempio di un padre convinto fascista, con una filmografia coerente con l’impegno civile, e che trovò una corrispondenza perfetta in autori all’epoca al massimo della loro potenzialità espressiva, dai Taviani a Elio Petri, da Giuliano Montaldo a Francesco Rosi. Non è facile raccontare chi è stato Gian Maria Volontè, uomo di una bellezza magnetica, capace di affascinare il pubblico sia leggendo i versi delle canzoni di Bob Dylan e Jacques Brel, che interpretando di volta in volta un operaio disperato, un pistolero, un commissario di polizia assassino, un sindacalista o, per ben due volte, l’onorevole Aldo Moro. Francesco Zippel ci riesce benissimo facendo parlare la figlia, Giovanna Gravina Volontè, che da La Maddalena racconta l’amore di Gian Maria (così chiama il padre) per la Sardegna e la navigazione in barca, sua massima espressione di gioia e libertà. E a parlarne sono anche l’ultima compagna, l'attrice Angelica Ippolito, i suoi colleghi di oggi, tra cui Fabrizio Gifuni e Pierfrancesco Favino, che ne hanno ripercorso le orme, il critico francese Jean Gili e molti altri.
Ma soprattutto a parlare è lui, dai suoi esordi con le rarissime immagini dei Carri di Tespi itineranti con cui compie le prime esperienze, ai documentari politici realizzati in prima persona, dai ruoli televisivi che ne rivelarono il talento (L’idiota e Caravaggio, su tutti) ai film fondamentali della sua carriera, fino a quello che gli costò la vita, Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopulous, dove, stroncato da un infarto, fu sostituito da Erland Josephson. Nel documentario è straziante ma è anche stranamente entusiasmante vedere ile scene che aveva girato, già stanco com’era e provato dalla vita e da un mondo totalmente mutato in cui non si riconosceva più (possiamo solo immaginare cosa avrebbe pensato di quello attuale), in cui corre per sfuggire ai cecchini nella Sarajevo in guerra, nel ruolo di un regista che cerca disperatamente salvare la memoria e la cultura di un paese, ovvero le pellicole conservate nella cineteca nazionale. Se è impossibile racchiudere la straordinaria vita e carriera di Gian Maria Volontè nello spazio di un documentario Francesco Zippel, che deve fare i conti anche col budget e le costose problematiche legate ai diritti delle immagini, ne è pienamente consapevole. Ma riesce ugualmente a consegnarci un ritratto toccante e convincente di un attore che non si è mai piegato alle logiche commerciali del cinema, dedito alla ricerca, presente nella società in cui viveva, che anche nei western di Sergio Leone e Damiano Damiani (indimenticabili), vedeva oltre, sapendo che parlavano di sfruttamento, di lotta di classe, di ingiustizie e crudeltà del potere nei confronti degli ultimi della storia. Purtroppo non abbiamo mai avuto la gioia di conoscere di persona quest’artista appassionato, dotato anche di un gran senso dell’umorismo, ma Volontè: L’uomo dai mille volti ci fa capire perché, soprattutto oggi, sia importante ricordarlo, riscoprirlo e far conoscere il suo lavoro alle nuove generazioni, che lo ameranno come lo abbiamo amato noi.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità