USS Indianapolis: la recensione del film con Nicolas Cage che racconta una storia vera
Quella dell'incrociatore americano che consegnò la bomba poi sganciata su Hiroshima e che venne affondata dai giapponesi in acque infestate da squali.
"Ma dove corri, non stiamo mica a Indianapolis!"
In Italia di circuiti e gare automobilistiche celebri ne abbiamo molte: però, nel vocabolario di tutti, in frasi che stanno a indicare una velocità smodata tenuta in strade aperte al traffico, ecco scattare l'esterofilia di casa nostra, che oltre alla 500 miglia che si svolge nella capitale dello stato dell'Indiana può anche far riferimento alla francese 24 ore di Le Mans.
Negli Stati Uniti, però, Indianapolis non è solo la città, o la corsa delle auto. Indianapolis è anche, e in alcuni casi soprattutto, il nome di un incrociatore della Marina statunitense protagonista di una vicenda entrata nella storia.
È quella che racconta un ubriachissimo Robert Shaw a Richard Dreyfuss e a una notte a bordo dell'"Orca", in una delle scene più memorabili di Lo squalo di Steven Spielberg, con un monologo che porta la firma di John Milius: al ritorno di una missione segreta e delicatissima, ovvero consegnare nelle Filippine la bomba H che verrà poi sganciata su Hiroshima, la USS Indianapolis fu affondata dai Giapponesi in acque infestate dagli squali, e solo 316 degli oltre 1100 membri dell'equipaggio vennero trovati vivi e salvati dopo giorni alla deriva, preda dei pescecani.
Sarebbe maligno, ma non del tutto scorretto, dire che c'è più cinema in quella sequenza del film di Spielberg, che in tutto questo diretto da Mario Van Peebles, nel quale Nicolas Cage e il suo parrucchino interpretano lo sfortunatissimo Capitano Charles Butler McVay, prima ingiustamente disonorato, poi morto suicida.
C'è da dire però che quello è un capolavoro, e questo USS Indianapolis semplicemente un film che cerca con un po' di goffaggine ma con una certa sincerità di rendere omaggio alle vittime di quegli eventi senza mettere mai da parte le esigenze dello spettacolo.
Van Peebles, tanto per mettere le cose in chiaro, catapulta subito lo spettatore nel bel mezzo di una battaglia, per poi lasciare spazio a una presentazione del personaggio di McVay prima, e dei membri del suo equipaggio poi.
Perché, proprio come avveniva nel Titanic di James Cameron - vagamente citato quando, intorno al minuto 50, l'incrociatore affonda -, anche qui si vogliono intrecciare gli eventi storici e catastrofici con una serie di vicende umane e personali.
Il risultato, da questo punto di vista, è a volte più vicino alla retorica del Pearl Harbor di Michael Bay, altro chiaro riferimento di Van Peebles, che cerca di mettere nel suo film più elementi possibili, sfiorando il barocchismo nella forma e nel contenuto.
Tanto che non manca nemmeno una scena in cui Tom Sizemore, ufficiale motorista della nave, sembra voler far proprio lo Shaw dello Squalo parlando al suo equipaggio dei pescecani, destinati a rappresentare una parte importante della storia con riprese sottomarine di repertorio mescolate a scene di attacco che non avrebbero sfigurato in Blu profondo di Renny Harlin.
Le intenzioni potevano anche essere buone, ci sono pure le testimonianze dei veri sopravvissuti al naufragio sui titoli di coda, ma in America non tutti hanno apprezzato, sostenendo che il film di Van Peebles arrivava a essere vagamente irrispettoso.
Da noi - dove per ovvi motivi la ferita di quegli eventi non si sente, non è nostra - resta il disappunto per un film che non sa mescolare bene le sue anime né che strada prendere esattamente, e nel quale a un Cage che spesso sta solo sullo sfondo vengono regalate battute come "A volte è meglio essere rispettati che temuti," rivolta a un suo ufficiale poco cordiale con l'equipaggio, o "Forse un giorno saremo in grado di perdonarci come esseri umani," destinata invece al comandante giapponese che l'ha affondato, e il cui popolo ha condannato alla devastazione dell'arma atomica.
Tutte recitate con una convinzione che fa a pugni con la retorica che le ammanta.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival