Up - la recensione del decimo film Pixar
Dopo aver inaugurato Cannes 2009, il decimo film della Disney Pixar vola lì dove indica il suo titolo: Up, in alto, verso quote elevatissime di divertimento, tecnologia, sentimenti e commozione. Dopo il capolavoro Monsters & Co., Pete Docter non delude affatto.
Up - la recensione
Carl ed Ellie sono due bambini che si conoscono grazie al sogno comune di diventare esploratori, e di raggiungere assieme un luogo mitico del Sudamerica. Carl ed Ellie, dal loro primo incontro, non si separeranno mai. E quando lui, oramai anziano, rimane vedovo, di fronte ad un mondo che sembra sempre più irriconoscibile rispetto a quello che ha sempre sperato e creduto, parte nel modo più fantasioso ed emozionante per realizzare il sogno, sempre rimandato, suo e della donna che ama. Accompagnato, suo malgrado, da un piccolo esploratore.
Case che volano appese a migliaia di palloncini colorati. Cani che parlano grazie ad ingegnosi collari, nemici dallo spessore quasi melvilliano, gag esilaranti e trovate visive che lasciano di stucco: tutto questo è Up, ma Up non è solo questo. Up è un film che affronta con impressionante maturità temi non facili da declinare mediati dall’umorismo e dalla leggerezza come l’elaborazione del lutto, l’amore, la vecchiaia ed il modo con cui fare i conti con il bilancio della propria esistenza: compresa la necessità di mettere in discussione i “sogni” di una vita.
Pete Docter è lo stesso regista che ha firmato Monsters & Co., e quanto si vede (così come si vede la mano del Tom McCarthy di The Station Agent e dell’Ospite inatteso come co-autore del soggetto). Proprio come in Monsters, infatti, in Up si gioca con il ribaltamento dei ruoli e delle aspettative, si parla in maniera esplicita e implicita al tempo stesso di sentimenti seri e profondi, e proprio su questi si costruisce una struttura narrativa che gioca con l’avventura, la comicità, lo stupore spettacolare di sequenze rocambolesche e vertiginose.
E proprio come in Monsters, è nei momenti in cui la meravigliosa giostra colorata e vorticosa rallenta e lascia che sia il cuore dei personaggi a parlare, a parlarci, che Up raggiunge le altitudini stratosferiche alle quali è in grado di arrivare. Va benissimo un telone che si apre rivelando migliaia di palloncini colorati che fanno decollare una casa e regalano allo spettatore uno stupore splendidamente infantile; vanno benissimo scenografie che sconfinano nell’arte e momenti di comicità me mescolano assieme i grandi maestri del muto, quelli dell’animazione classica e l’inconfondibile tocco della Pixar. Ma è con una mano appoggiata ad una cassetta della posta verniciata assieme, con uno sguardo verso un soprammobile carico di ricordi, con i piccolissimi ma importantissimi gesti che segnano il compimento di un percorso esistenziale e l’importanza di un passaggio di testimone generazionale che Up commuove in modo profondo e bellissimo.
E in tutto questo, ci si perdonerà se non perdiamo tempo a sottolineare come la tecnica del digitale e l’uso del 3-D siano d’impressionante livello.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival