Una storia sbagliata: la recensione del film di Tavarelli

02 giugno 2015
3.5 di 5
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Dalla Sicilia all'Iraq il viaggio di una giovane donna alle radici del suo dolore nel bel film del regista torinese.

Una storia sbagliata: la recensione del film di Tavarelli

Un ragazzo e una ragazza si incontrano, si innamorano e si sposano a Gela, sullo sfondo del polo petrolchimico costruito negli anni Sessanta, enorme mostro oggi in parte dismesso che deturpa il paesaggio e continua a divorare vite umane. Sono felici e iniziano a pensare al futuro, magari con un figlio. Ma lui non fa un lavoro qualsiasi: è un militare che partecipa alle cosiddette missioni di pace in Iraq e fa la spola tra il suo paese e quella terra lontana, portando con sé una serie di angosce di cui non può parlare e che finiscono per separarlo dalla moglie. Fino al giorno in cui a lei non arriva la notizia che da sempre temeva, spingendola a seguirne le tracce al seguito di una missione umanitaria. .

Fa piacere che un autore come Gianluca Maria Tavarelli sia tornato al cinema, perché è uno dei pochi filmmaker italiani in grado di affrontare con onestà e sensibilità storie di cui il nostro cinema difficilmente parla. Si parla di missioni di pace in zone di guerra, quelle delle quali poco o nulla il cittadino medio sa e capisce, a meno che non lo riguardino direttamente. Si parla di una guerra diversa, moderna, espansa, che chi combatte si porta dentro quando torna a casa, che confonde e sradica chi ne è testimone, i cui reduci sono spesso molto giovani e non riescono a reintegrarsi in una vita che a casa continua come sempre, routinaria e banale. Nel film i due giovani sposi parlano via skype, si vedono, scherzano sui colleghi e sull’ambiente come se quello di lui fosse un lavoro normale, ma è il non detto e il non visto quello che conta davvero, sono le informazioni che mancano da queste conversazioni a scavare un solco tra di loro. Gli altri, quelli che non hanno conoscenti o parenti tra i militari, anche se vedono in televisione quello che succede, si sentono al sicuro. Per i nostri ragazzi caduti, come quelli morti a Nassiryia, si piange e ci si indigna per un po’, ma alla fine si dimentica, perché questa guerra anomala è “lontana”, ed è spesso percepita come un fenomeno mediatico come tanti.

Una storia sbagliata parla anche di missioni umanitarie, di gente capace di lasciare la propria famiglia e partire sottoponendosi volontariamente a privazioni e limitazioni della libertà personale per mettere la propria esperienza e professionalità medica al servizio dei più poveri tra i poveri, che sono le prime vittime della guerra. Tavarelli unisce benissimo fiction e documentario (il film parte da una sua esperienza con la ONG Emergenza Sorrisi), con protagonisti veri che affiancano gli attori e danno al suo film un afflato indiscutibile di verità. Alternando – sia pure un po’ meccanicamente - passato e presente, avvicina il massimo della generosità all’egoismo più estremo e alla “cattiveria” cui il dolore della perdita sembra dare diritto.

Il personaggio di Isabella Ragonese nella sua durezza ci ha ricordato quello di Jennifer Aniston in Cake, senza lo stesso sarcasmo: quando la vita ti crolla addosso e perdi la persona per te più importante, cosa possono saperne gli altri di quel che provi e di come ti senti? A che servono le bandiere, gli onori, la retorica, quando un nemico a te sconosciuto ti ha tolto la tua ragione di vita? Per questo il personaggio di Stefania va in Iraq, per sapere, forse per vendicarsi in qualche modo, ripercorrendo le tracce di un giovane come il marito, avviato come lui a un destino di morte, sia pure “volontaria”. Ha un secondo fine questa ragazza ruvida e volitiva che sembra aver chiuso il proprio cuore alla sofferenza altrui: nella sua agenda nascosta non c’è spazio per l’ascolto, per il rispetto delle tradizioni di un paese in apparenza così simile al suo. Perché tutti i Sud del mondo si assomigliano, sfruttati e dimenticati come sono, e anche se i suoi abitanti parlano lingue diverse hanno più in comune di quanto li divida.

Ma il viaggio cambia chi lo intraprende e lo costringe a vedere e sentire, e quello tormentato di Stefania, guidata dal giovane Khaleed (l’ottimo attore belga Medhi Debhi) si conclude in modo inatteso e commovente: potrebbero essere davvero le donne a salvare il mondo, se solo ne avessero la possibilità. Siciliani come i loro personaggi, Isabella Ragonese e Francesco Scianna si confermano come due dei nostri interpreti giovani più intensi e interessanti, capaci di far passare sui loro bei volti una vasta e credibile gamma di emozioni.

Fin dal titolo che rimanda all’omonima, splendida canzone di Fabrizio De André dedicata a Pier Paolo Pasolini, Una storia sbagliata dichiara la propria identità di opera civile, politica e non ideologica, di cui il nostro cinema ultimamente ha sofferto la mancanza.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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