Un mondo a parte: la recensione del film di Riccardo Milani con Antonio Albanese e Virginia Raffaele
Un maestro che lascia la grande città per insegnare in una scuola di un remoto paese di montagna. Fra commedia e attenzione allo spopolamento di molte aree del nostro paese, Riccardo Milani torna a dirigere Antonio Albanese insieme a Virginia Raffaele. La recensione di Mauro Donzelli.
Bevenuti al centro, in mezzo agli Appennini più aspri e seducenti, fra lupi e neve alta, in uno dei tanti piccoli borghi in via di rapido spopolamento. Riccardo Milani, sempre più appassionato cantore della commedia con risvolti sociali, questa volta si affida allo schema consolidato del contrasto di provenienze, all’alieno che irrompe nel villaggio senza conoscerne lingua, usi e costumi per scatenare una dinamica comica, per poi mettere in luce un fenomeno spesso trascurato come la scomparsa di comunità rurali e montane che rappresentano da sempre una delle ricchezze del nostro paese.
“Voi venite qui nel fine settimana, per sentirvi in contatto con la natura, ma perché non ci venite dal lunedì al giovedì?”. Così demolisce un autoctono la leggiadra e ingenua passione un po’ radical chic del cittadino Michele Cortese (Antonio Albanese), maestro che dopo quarant’anni di insegnamento nelle elementari della rude periferia romana si fa trasferire in mezzo ai monti, in una scuola pluriclasse che riunisce bambini dalla prima alla quinta elementare, in un paese del Parco nazionale d’Abruzzo, dal nome di finzione di Rupe.
Girato fra Pescasseroli e dintorni, patria d’elezione e di passione per il regista, Un mondo a parte racconta per l’appunto di un contesto molto lontano rispetto al centro dell’attenzione, alla grande città o alla provincia più gaudente e telegenica, una bolla che risponde a un'altra bolla, in cui torpedoni di turisti si avventurano durante “la stagione”, per poi abbandonarla a un sempre più pressante rischio di estinzione. Divertente variazione sul processo di avvicinamento fra differenti abitudini di vita, Un mondo a parte si giova dell’alchimia fra Antonio Albanese, il maestro che si avventura fra la neve in mocassini e idealismo, e la vice preside che l’accoglie, una Virginia Raffaele convincente nei panni (e nella calata) di un’abruzzese che gli ideali non li teorizza, ma li mette in pratica. Presto si troverà di fronte allo spettro della chiusura della scuola del paese, come avvenuto in passato alla sua, anticamera di una morte civile e sostanziale di un altro paesino.
A questo punto è l’astuzia dei due, con la complicità di alcune figure di riferimento del paese, rigorosamente interpretate da non professionisti della zona, a innescare una corsa al bambino, per iscriverne un numero sufficiente a poter riaprire anche l’anno successivo. Albanese mette in pratica la sua arte mimica da fuoriclasse, regalando un tentativo di accensione di una stufa a legna, e in generale un’irruzione in territorio foresto, davvero esilarante, contribuendo in pieno, insieme a Virginia Raffaele, a rendere la truppa di “attori per un giorno” credibili e capaci di rendere la vicenda spassosa senza essere forzata. Come però, nell’ultimo terzo del film, risultano un paio di situazioni che interrompono il ritmo oliato della storia e segnano un passo a vuoto.
Quello che rimane è lo slancio ideale, la fiducia ostinata di Milani per un cambiamento possibile, identificando come miccia degli adulti consapevoli e coraggiosi, ma come esercito senza paura i bambini e più giovani, speranza a cui affidare il testimone di un vero cambiamento. Una fiducia luminosa come i colori di una primavera radiosa che ripulisce i monti e la neve, in un saluto che sa di ottimismo civile, sensazione rinfrescante in un'epoca di cinismo come premessa o vezzo. Perché "abituarsi al peggio è la cosa peggiore che gli esseri umani possano accettare".
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito