Un autre monde: la recensione del dramma sociale di Stéphane Brizé con Vincent Lindon

10 settembre 2021
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Un autre monde conclude in gloria una grande trilogia sul mondo del lavoro diretta da Stéphane Brizé e interpretata da Vincent Lindon. Dopo aver raccontato il mondo degli operai, al centro c'è un dirigente a cui viene chiesto di effettuale dei tagli. La recensione di Mauro Donzelli.

Un autre monde: la recensione del dramma sociale di Stéphane Brizé con Vincent Lindon

Chi è più libero, un operaio ormai rassegnato a perdere il suo posto di lavoro dopo molti anni, oppure il dirigente incaricato di licenziarlo?
Stéphane Brizé è ormai insuperabile nel raccontare il mondo del lavoro. Non che il cinema possa cambiarlo, porre un freno alle storture che lo caratterizzano, “altrimenti Ken Loach avrebbe fatto scatenare almeno tre rivoluzioni”, come dice lui stesso. Al contrario del regista britannico, lui si attiene molto più radicalmente all’oggettività dei fatti. Sono sempre precise le sue ricostruzioni, maniacali e interessate a porre domande, a far emergere contraddizioni e disequilibri, sempre però con misura, facendo salire la rabbia nello spettatore attraverso una storia totalmente realistica

Dopo aver raccontato il precariato ne La legge del mercato, e le lotte sindacali degli operai con In guerra, Brizé conclude la sua mirabile trilogia cambiando il punto di osservazione in Un autre monde. Con un vero controcampo, si sposta dall’altra parte del tavolo delle negoziazioni, analizzando un’altra guerra, quella di un dirigente di una fabbrica in provincia della filiale francese di un grande gruppo americano. Un fronte esterno, quello delle relazioni con i dipendenti, e quello interno, con un matrimonio in crisi, una moglie da cui sta divorziando. C'è quindi la famiglia, con un figlio che sembra somatizzare i conflitti domestici, le assenze del padre.

Lo stile è lo stesso del precedente, In guerra. Philippe Lemesle è in fondo un salariato anche lui, ma non rappresenta sé stesso, al massimo i propri colleghi, ma gli interessi dell’azienda. Se da una parte può scegliere se filtrare le richieste sempre più dure per i dipendenti, dall’altra si trova a combattere su due fronti: trattare on i massimi vertici della filiale, fino al capo dell’azienda in America, e poi con i lavoratori del suo stabilimento, a cui deve dar conto delle decisioni arrivate dall'alto, facendole proprie, anche se non le condivide. Delocalizzazione, obiettivi di “maggiore efficienza”, e il più utilizzato ritornello: non è questione di mandarne via 52, ma così facendo di salvarne 1200.

Nel frattempo Philippe si sta separando dalla moglie, un rapporto logorato proprio dai ritmi lavorativi insostenibili per la sopravvienza di un rapporto di coppia e familiare sano. Un autre monde, quindi, quello di chi è forse anche più solo degli operai sindacalizzati, e vive un percorso di consapevolezza che lo porta a non tollerare ormai più delle direttive sempre più incoerenti e indifendibili. A meno di non perdere la reputazione con i suoi dipendenti, allontanarsi fisicamente dalla fabbrica, perdere il contatto anche umano, il valore aggiunto della sua presenza fisica, sul territorio. Leader o anche per lui il destino è di puro esecutore? Mentre la sua vita sta raggiungendo un punto critico, Philippe cerca di dare un senso nuovo, alla sua vita. Fino a che punto la sua libertà, oltre che un costo, può anche avere un prezzo?

Brizé forma ormai una coppia in stato di grazia con il suo protagonista, Vincent Lindon. Questa volta si è anche divertito a fargli indossare dei panni totalmente diversi, ma l'equazione continua a funzionare alla grande. Un ritmo frenetico, un’analisi spietata eppure sempre argomentata, allo stesso tempo razionale e capace di entrarti nelle viscere. Le domande non mancano, le risposte (preconfezionate) per fortuna sì, in questo ultimo capitolo, davvero notevole, di una trilogia capace di illuminare le contraddizioni dal punto di vista lavorativo ed economico, ma anche gli effetti, ben più che collaterali. Quelli personali, intimi.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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