Tutti a bordo: recensione della commedia con Stefano Fresi, Carlo Buccirosso e Giovanni Storti
Luca Miniero trasforma ancora una volta una commedia francese in un film italiano che misura la temperatura del nostro paese e ci ricorda di non trascurare i bambini, inchiodati a casa da due lockdown. Il film racconta anche gli adulti: smarriti, confusi, affannati.
Nella seconda metà del 1600, un poeta francese di nome Jean De Santeul scrisse che la commedia classica aveva il compito di correggere i costumi ridendo. Anche Orazio, a suo tempo, diceva lo stesso a proposito della satira, e la lezione di questi due illustri pensatori è arrivata fino al nostro tempo e fino a Luca Miniero, che ha trasformato in un film italiano al 100% una commedia francese a metà fra il buddy movie e il road movie.
Come aveva fatto per Benvenuti al Sud, il regista e sceneggiatore napoletano ha cucito addosso a un cast straordinario una storia che racconta il nostro paese, che sta uscendo pian piano dallo smarrimento del lockdown e che, almeno al cinema, sta ricominciando ad andare e a ridere. In questo Miniero è stato certamente aiutato dalle dinamiche e dal significato non tanto nascosto del viaggio con la V maiuscola, che in molte forme di narrazione diventa un percorso di crescita più importante della meta da raggiungere e che, nel nostro caso, è metafora di come sarebbe meglio non affrontare una crisi o un cambiamento.
In Tutti a bordo gli scenari sono due. C'è chi viaggia restando fermo, ed è il caso di 7 bambini che salgono a bordo di un treno e restano ben nascosti in uno scompartimento fino a quando il pericolo impone loro di muoversi. E poi c'è chi perde il treno e si affanna a inseguire in ogni modo possibile ciò che ha di più caro senza realmente afferrarlo, e succede ai personaggi di Stefano Fresie Giovanni Storti, che impiegano tutte le loro energie e tutti i possibili mezzi di trasporto per raggiungere la stessa meta dei bambini. E noi da che parte stiamo? A quale gruppo apparteniamo? Sono queste le domande che il film pone a uno spettatore attento, al quale sembra consigliare, come suggeriva una vecchia canzone di Enzo Del Re, di "lavorare con lentezza", in altre parole di procedere a una velocità moderata sulla strada del cambiamento interiore e dell'autoconsapevolezza.
Ma c'è molto di più in Tutti a bordo, che ci ricorda che sono stati i bambini le prime vittime di due anni di Covid, perché non hanno assaporato il piacere di giocare all'aperto né di sperimentare per la prima volta la libertà. A questo proposito il film non si perde in sterili polemiche né impartisce lezioni, piuttosto risarcisce per quel che può gli adulti di domani con un racconto a misura di bambino e per un pubblico di bambini, e ricordandoci che i bambini, come diceva Walter Veltroni in un suo documentario, "sanno". I nostri figli osservano, assorbono, ragionano, capiscono, si difendono, addirittura accudiscono, mentre i loro genitori, oberati di cose da fare, si chiudono in silenzi a volte rancorosi o si mostrano fin troppo zelanti trasformano i figli in capricciosi tiranni.
Tutto questo, certamente, ci viene mostrato attraverso la lente deformante della commedia, e la nostra commedia raramente si fa amara, ma chi avrà la voglia e la capacità di andare un po’ più a fondo, capirà che dietro al perfido capotreno-controllore interpretato da Carlo Buccirosso si nasconde un'Italia che ama sempre di meno i bambini e anche le responsabilità genitoriali, un paese individualista ed egoista che spesso all'intraprendenza preferisce l'indolenza e allo slancio della fattività oppone inconsapevolmente la paralisi della pigrizia e della paura.
Torniamo agli adulti, agli attori adulti. Luca Miniero ha scelto bene, e certamente è riuscito a tirare fuori il massimo da Fresi, Storti e Buccirosso, che con dedizione e impegno hanno studiato i loro personaggi, ne hanno compreso le motivazioni e, nel caso del capotreno, hanno provato a immaginare la loro infanzia e a rispettare le loro imperfezioni, senza mai biasimarli e arricchendoli anzi di un barlume di umanità. Non era facile, perché ormai, quando in un film arriva un antagonista, si tende a trasformarlo in un villain da fumetto, in una caricatura che comunque sarà sempre meglio dei tanti indecisi monocolore resi ancora più scialbi dalla recitazione finto-naturalistica di chi non ha grande talento. Qui invece c'è un grande lavoro e c'è il rispetto per compagni di set ben più giovani da proteggere e con cui partecipare al gioco dell'improvvisazione e alla meraviglia del "come se". E proprio perché interpreti come Storti, Buccirosso e Fresi sono un bene prezioso, come anche le sette piccole pesti che arrivano perfino a occultare un cadavere, Tutti a bordo poteva osare di più, diventando rocambolesco, folle, vorticoso, e puntando sulla comicità fisica di chi è abituato anche a intrattenere la platea di un teatro e ha un forte presenza scenica.
In una scena dell'ultima parte di Tutti a bordo, uno dei piccoli viaggiatori non accompagnati dice che i bambini hanno bisogno dei loro genitori. E a noi adulti chi ci pensa? Chi si occupa di noi? Chi ci protegge? Probabilmente nessuno, e allora non ci resta che affidarci alla nostra intelligenza emotiva e investire nelle relazioni con gli altri adulti che ci circondano. Non dobbiamo formare una lega di super-uomini, ma una "rete" di esseri solidali e generosi che si aiutano l'un l'altro e si mettono dalla parte del più indifesi: che abbiano 5, 40 o 90 anni.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali