The Walk, recensione del film di Robert Zemeckis con Joseph Gordon-Levitt

19 ottobre 2015
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Il film racconta la storia del funambolo Philppe Petit, che nel 1974 camminò su un cavo teso tra le due Torri Gemelle di NY.

The Walk, recensione del film di Robert Zemeckis con Joseph Gordon-Levitt

Mentre il Philippe Petit interpretato da Joseph Gordon-Levitt cammina sul cavo teso tra le due Torri Gemelle, sospeso a 415 metri d'altezza dal suolo, The Walk vola.

La spinta per il decollo, Robert Zemeckis l'aveva già trovata nelle fasi preparatorie di quell'evento straordinario e (purtroppo) irripetibile realmente avvenuto nel 1974 e già raccontato in Man on Wire (che il regista americano pare conoscere piuttosto bene): quando il funambolo e i suoi studiano il piano per intrufolarsi sui tetti del World Trade Center, e quando lottano contro il tempo per tendere il cavo in sicurezza.
Il volo, quello vero e proprio, con la sua ebbrezza e la sua magia, che ricalcano quelle del coup sognato e inseguito da Petit con folle e artistica, determinazione, avviene nel momento in cui il francese fa il suo primo passo, inizia la passeggiata del titolo, e la porta avanti per un tempo quasi impossibile, andando avanti e indietro lungo quei 42 metri e mezzo sospesi nel vuoto per ben otto volte, irridendo la polizia che l'aspettava a un capo come all'altro, come in un comica di Stanlio e Ollio, annullandosi nella bellezza del gesto e nel brivido placido della conquista.

In quella trentina di minuti, Robert Zemeckis centra momenti di cinema potente e straordinario, che fanno perdonare le goffe incertezze di una parentesi parigina lontana parente delle dei toni dolciastri e farseschi di Amélie, e l'invadenza ammiccante del coro dello stesso Petit/Gordon-Levitt, che racconta la sua storia dall'alto della fiamma della Statua della Libertà fin dalla sequenza iniziale del film.
E però fa ancora più rabbia che quel gran pezzo di cinema, che porta con sé tutta la forza evocativa e simbolica del coup di Petit, venga inquinato con una sovrascrittura che appesantisce tutto un film che sembra aver più paura del vuoto di quanto non avesse il funambolo sospeso tra le Torri.

Eppure Zemeckis, come ha scritto Matt Zoller Seitz in un bellissimo pezzo sul film, “è con Steven Spielberg e Alfred Hitchcock è in una ristretta lista di registi che capiscono come fondere l'audacità con la semplicità”. In The Walk è audace, molto, per il nostro divertimento e il nostro stupore; semplice, forse, un po' meno. Quando a Philippe Petit venne chiesto il perché del suo gesto, con sincero candore il francese rispose "Non c'è un perché." Poche, pochissime parole capaci di dire tutto e di più, che Robert Zemeckis non a caso ha scelto di mettere in bocca anche al suo protagonista, Joseph Gordon-Levitt.
Lo stesso Levitt, alle prese con il suo mentore circense interpretato da Ben Kingsley, viene nemmeno tanto bonariamente cazziato mentre cerca d'imparare il modo giusto per presentarsi al pubblico e salutarlo: "Fai troppo!," lo rimprovera Kingley in un caso; “Troppo poco!," in un altro.

Avere la capacità di dire molto con poco, senza esagerare, né tirare troppo le redini: non sempre è facile, e non sempre ci si riesce.
E se c'è un difetto che mina le potenzialità altissime e vertiginose di The Walk, è proprio il suo essere troppo scritto, troppo esplicito, troppo parlato. Di fare troppo, di voler spiegare troppo i perché.
In fondo, volevamo stare solo lì con Philippe, in equilibrio sul cavo, senza troppe parole che rischiavano di farci cadere, spezzando la magia.





  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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