The Stranger: la recensione del thriller australiano con Joel Edgerton
Tesissima e cupissima opera seconda di Thomas M. Wright, è stata presentata al Torino Film Festival dopo la prima mondiale di Cannes lo scorso maggio, e arriverà nei cinema italiani prossimamente con BIM Distribuzione. Ecco la recensione di The Stranger di Federico Gironi.
Di film che raccontano di poliziotti infiltrati, delle loro necessità di rimanere sempre dentro a un personaggio, dei conflitti e dei tormenti interiori provati dal rimanere a costante e intimo contatto col crimine, ne abbiamo visti tanti. Nessuno, forse, ha raccontato tutto questo con la radicalità dell’australiano Thomas M. Wright, uno che ha fatto teatro a livelli molto alti, l’attore per il cinema e la tv, e che da qualche anno fa anche il regista cinematografico.
The Stranger, che è la sua opera seconda, racconta una storia che, sulla carta, abbiamo sentito mille volte: Joel Edgerton è Mark, un poliziotto che si finge criminale per ottenere la fiducia di Henry (Sean Harris), inquietante poco di buono fortemente sospettato del rapimento e dell’uccisione di un bambino. E forse non di uno solo.
Il punto, qui, non è la colpevolezza di Henry, il personaggio di un Harris elettrico e oscuro: perché lo sappiamo benissimo tutti, che è colpevole.
Il punto, qui, è vedere il prezzo pagato dal Mark di Edgerton, giorno dopo giorno, in una vicinanza intima con qualcuno che rappresenta un Male assoluto che lo elegge a amico e speranza, il prosciugamento emotivo (e fisico: i due finiscono con il somigliarsi tantissimo non solo per via di barbe e capelli lunghi, ma anche perché a Edgerton si scava man mano il volto come scavato è quello di Harris) che il suo vivere in questo modo comporta.
Il senso di pericolo incombe sulle spalle di personaggi e spettatori per tutto il film, la tensione è costante e costantemente inesplosa, e per questo ancora più elevata.
Wright gestisce benissimo il copione, i suoi ottimi attori protagonisti e ancora di più le immagini del suo film, che procede lontano da ogni tentazione banalmente spettacolare di stampo hollywoodiano ma lavora costantemente sulla stimolazione sensoriale, visiva e sonora, utilizzando le luci e le oscurità, i rumori e le parole, per calarci dentro un incubo a occhi aperti che è quello vissuto dal personaggio di Edgerton. Il quale, non a caso, inizia a confondere realtà e immaginazione esattamente come Wright si diverte a mescolare i piani temporali.
Non ci sono riferimenti saldi, in The Stranger. Dalla prima inquadratura Wright chiama a sé lo spettatore e lo costringe a compiere un lavoro costante di riempimento (di vuoti) e di decrittazione (di identità e di racconto), catturandolo così in una tela insidiosa che non lascia scampo e che si riempie di immagini inquietanti, misteriose e simboliche, come quelle di una grande montagna immersa nei boschi e nella nebbia.
E il nostro sguardo, per quanto smarrito, attonito, perduto, diventa in questo caso la terza traiettoria in una triangolazione carica di complessi e controversi sentimenti umani che vede in Edgerton e Harris gli altri due lati di questa geometria in costante e inquieto movimento.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival