The Son: la recensione del dramma di Florian Zeller con Hugh Jackman in concorso a Venezia

07 settembre 2022
3.5 di 5
10

La storia di un figlio adolescente e della complessità per i genitori di aiutarlo a crescere. Dopo The Father, Florian Zeller adatta di nuovo una sua pièce in The Son con Hugh Jackman Vanessa Kirby e Laura Dern, in concorso a Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.

The Son: la recensione del dramma di Florian Zeller con Hugh Jackman in concorso a Venezia

La mente umana è il territorio di analisi di Florian Zeller. Luogo impervio e dai confini indefiniti che ha scandagliato prima con una trilogia teatrale sulla famiglia, ora con adattamenti per il cinema. A partire da The Father, successo planetario che ha fatto vincere l’Oscar a un monumentale Anthony Hopkins, e ora con The Son, in attesa di The Mother, che non arriverà presto. Da Londra ci spostiamo a New York, per imporre maggiore distanza rispetto a Parigi, in cui era ambientata l’opera teatrale. Se il soggetto dell’esperimento sociale e sempre più psicanalitico del regista francese è questa volta un figlio, il punto di ingresso è costituito dai genitori, dagli adulti che con l’adolescente devono fare i conti.

Si chiama Nicholas, il figlio, da due anni elabora il divorzio dei genitori. Vive con la madre Kate (Laura Dern), ma non riesce più a sentirsi a suo agio. Pensa sia un problema, almeno inizialmente, di quelle quattro mura e della madre, ancora scossa dalla separazione. Un vuoto profondo, invece, è suo compagno quotidiano, indipendentemente dallo spazio che abita. Chiede al padre Peter (Hugh Jackman) di trasferirsi da lui, che vive con la nuova compagna Beth (Vanessa Kirby). I due hanno appena avuto un bambino, un fratellino di poche settimane. Il padre è un avvocato di successo per un grande studio legale, lavora buona parte della giornata, e sta pensando di accettare una proposta per una carriera politica a Washington. 

Sarebbe un errore fare confronti fra The Father e The Son. Quanto il primo era labirintico, narrativamente sincopato e frammentario, come il puzzle della memoria di un anziano malato di Alzheimer, tanto questo secondo capitolo è lineare, semplice e dritto al punto. Un minimalismo freddo, senza imperfezioni, come i grattacieli di Manhattan o gli appartamenti cemento e colori freddi dei condomini esclusivi. Anche nell'abitazione si nota la differenza di temperatura emotiva dei due genitori, visto che invece la madre vive in una casa di arenaria dai colori caldi. Inevitabile che per Nicholas rientri nella crisi di angoscia che lo tormenta anche la non facile gestione di una nuova normalità dopo il divorzio,. Il cambiamento di casa e di scuola sembra inizialmente fargli bene, ma sono illusioni momentanee, mentre per lui la distanza fra la distratta maschera superficiale con cui interagisce con il padre e il baratro interiore diventa sempre più preoccupante.

In The Son, Florian Zeller scarnifica con precisione analitica ma mai distante la depressione fino al disagio mentale di un ragazzo, in equilibrio fra il turbamento naturale di un adolescente alle prese con la paura di crescere e qualcosa di più profondo. Per i genitori non si tratta più di palleggiarsi i sensi di colpa, mentre Nicholas li manipola colpendo duro da una parte o dall’altra. Per Peter, poi, si presenta costante la preoccupazione di non comportarsi con il figlio nella maniera assente e anaffettiva subita dal padre. In una sola scena appare in un incontro con Hugh Jackman proprio Anthony Hopkins, ma rimane impressa come indicativa delle vette di perfidia raggiungibili fra consanguinei; e della straordinaria bravura dell'attore gallese, ovviamente.

Un nuovo capitolo di un percorso di grande interesse nei meandri dei legami familiari, sulla capacità unica dell’amore di far male, sostenuto da una scrittura accuratissima, capace di aprire scenari di lettura sempre più profondi, grazie a una parola usata in un momento inatteso o a un’esitazione. Anche questa volta le interpretazioni sono rimarchevoli, da Hugh Jackman a Laura Dern, all’esordiente Zen McGrath, capace di rendere con inquietante credibilità il male di vivere di Nicholas. Si soffre e ci si commuove, ci si perde nella vertigine dei disturbi mentali, in come si riverberano in superficie e coinvolgono le persone più vicine.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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