The Roads Not Taken: recensione del film con Javier Bardem e Elle Fanning in concorso alla Berlinale 2020

26 febbraio 2020
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Sally Potter insiste a ragionare sull'idea di identità, mettendo un padre e una figlia di fronte alla possibilità e alla necessità di scelte esistenziali che hanno il loro prezzo.

The Roads Not Taken: recensione del film con Javier Bardem e Elle Fanning in concorso alla Berlinale 2020

New York. Il Messico. Un’isola della Grecia. Nella prima una figlia trascorre una giornata col padre, afflitto da strani problemi psichici. Non è chiaro cos’abbia, forse una qualche forma di Alzheimer, che lo rende quasi catatonico, non reattivo, perso nella sua mente. Negli altri due luoghi del film. Cosa vive, il personaggio di Javier Bardem, in Messico e in Grecia? Altre fasi della sua vita? Il suo passato? O, come il film sembra suggerire dal titolo, e strada facendo, vite alternative, parallele a quella reale?
Sì, le vite che, forse, avrebbe potuto vivere facendo scelte diverse: rimanendo con un suo amore di gioventù, nel primo caso; non tornando dalla sua famiglia per lavorare a un libro difficile, nel secondo.

Sally Potter mette in piedi un progetto ambizioso, che la vede regista, sceneggiatrice, co-montatrice e perfino autrice di una colonna sonora un po’ troppo presente e invadente. The Roads Not Taken cerca di indagare la mente di una persona il cui sistema nervoso centrale non funziona più come dovrebbe, e lo fa inventandosi un percorso esistenziale fatto di rimorsi, dolori, scelte che hanno comportato un prezzo da pagare alto. Il prezzo dell’amore.
Quello tra un uomo e una donna, certo, ma anche - e soprattutto - quello di un padre per un figlio, o una figlia. Il prezzo dei sacrifici fatti (o non fatti) per lui o per lei.

A fare da contraltare ai tormenti enigmatici e snervanti di Javier Bardem, quelli di sua figlia Elle Fanning. Una giovane donna che, nel corso della giornata frenetica e complessa vissuta al fianco di un padre tanto amato, ma tanto complicato da amare, si trova specularmente di fronte a delle scelte. Perché anche lei ha una vita, e una carriera, che vengono messe a repentaglio dalla necessità - o dalla volontà - di stare appresso ai bisogni del genitore.
E allora, anche lei, nel finale, vivrà una scissione, trovandosi di fronte a un bivio: vivere la sua vita, o sacrificarla per il bene di qualcun altro.

Sally Potter contiene la retorica come può, scivola qui e là azzardando commenti un po’ posticci sulla situazione politica statunitense e mondiale (quando una signora si scaglia contro Bardem al grido di “Maledetto messicano tornatene nel tuo paese”), o abbracciando una facile estetizzazione dei luoghi (il Messico del Dia de Los Muertos; un’isola Grecia cartolinesca con splendida taverna con terrazza sul mare e giovani e affascinante turista biondissima e con occhi azzurrissimi).
È chiaro che quello che le sta a cuore è altro. Più che il paradosso esistenziale delle vite vissute/immaginate/sognate/temute dal personaggio di Bardem che è chiaramente la struttura fondativa del film, ciò che la riempie: il senso dell’essere genitori e quello dell’essere figli, e come debbano essere tradotti in pratica.
Ma rimane sempre sulla superficie delle cose, e dell’immagine: l’emozione e l’empatia, in tutto questo, rimangono comodamente a casa loro.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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