The Quiet Girl: la recensione del film irlandese candidato all'Oscar

31 gennaio 2023
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Tra i candidati all'Oscar 2023 per miglior film internazionale c'è anche una bellissima opera prima irlandese, The Quiet Girl. La recensione di Daniela Catelli.

The Quiet Girl: la recensione del film irlandese candidato all'Oscar

Ci sono dei film così delicati, intensi e profumati di vita, che a vederli te ne innamori. Film che lasciano parlare il silenzio e il pudore dei sentimenti senza l'ansia di riempire i vuoti, che creano un linguaggio visivo cui corrisponde un paesaggio intimo. The Quiet Girl, film irlandese recitato, tranne poche battute in inglese, in gaelico nella versione originale, candidato all'Oscar come miglior film internazionale e vincitore di numerosi premi, è uno di questi, un'opera prima sorprendente e matura che richiede uno sguardo (e un ascolto) diversi da quelli a cui il cinema contemporaneo, spesso riempito di inutili parole e rumori, ci ha abituato. La ragazzina del titolo, Càit, ha 10 anni ed è, appunto, quiet, cioè al tempo stesso tranquilla e silenziosa, una presenza distaccata e anomala in una famiglia (troppo) numerosa e disfunzionale nell'Irlanda rurale del 1981. La giovane madre è sfinita dai troppi parti e il padre è una figura per lo più assente e percepito come ostile. A scuola, Càit stenta nella lettura e non ha amici, a casa è testimone muta dei rapporti tesi tra i genitori, che in attesa del sesto figlio decidono di mandarla a passare l'estate, prima del parto, nella fattoria di una coppia di distanti cugini di mezza età. È naturale che la scelta ricada su di lei, la minore delle sorelle e quella con cui i suoi non sanno come rapportarsi, la “stramba” della famiglia. Da questo esilio estivo, inizialmente subìto passivamente come tutto ciò che la riguarda, Càit imparerà molte cose su se stessa e sull'affetto che non ha trovato in famiglia e che scopre dove meno se lo aspettava. Fino a quando arriva per lei, inevitabile, il giorno del ritorno “a casa”.

Senza rivelare inutilmente particolari della trama che è giusto lo spettatore scopra da solo, The Quiet Girl intesse sulla tela della tipica storia di maturazione (quella che gli anglosassoni chiamano coming of age story) un luminoso e colorato arazzo dove si alternano luci e ombre e il paesaggio naturale che circonda Càit nasconde insidie ignote, al cui centro c'è un pozzo che, come nelle favole, ha in sé il segreto della vita e della morte. Coinvolta subito dai suoi affidatari (“Foster”, in affido, è il titolo del breve romanzo di Claire Keegan, meno di 100 pagine, da cui il film è tratto) nei compiti quotidiani della fattoria, rivestita di abiti maschili di cui non si chiede la provenienza, la bambina fiorisce in una giovane donna, felice nelle corse, cronometrate, per ritirare la posta, libera di essere se stessa senza venire giudicata, amata per quello che è. In questo breve periodo scopre anche che ci sono segreti che sono tali non per vergogna ma per dolore e si confronta anche con la perdita e la paura di coloro che l'hanno accolta a braccia aperte e con la malignità di persone che provano una specie di perverso piacere nell'affondare il dito nelle piaghe altrui.

Il regista Colm Bairéad sfrutta magistralmente (complice il reparto sonoro, la splendida fotografia di Kate McCullough e le musiche di Stephen Rennicks) le contrapposizioni visive del film: gli interni soffocanti e la selvaggia natura attorno alla casa della famiglia di Càit contro l'operosità e la luminosità della campagna produttiva e amata dei suoi ospiti, la vita animale contro l'animalità della vita umana, l'apertura contro la chiusura. The Quiet Girl è raccontato in modo così naturale che ci si dimentica quasi di assistere ad un film e a una storia immaginaria e non a una tranche de vie. Sono perfetti perfetti Carrie Crawley e Andrew Bennett nel ruolo dei parenti affidatari, ma è la radiosa bellezza ed espressività della dodicenne Catherine Clinch, che interpreta Càit, a guidarci in una storia che parla anche di noi, di quel momento nella nostra infanzia in cui un evento (un dolore, una gioia) ci ha trasformato da bambini ad adulti. È con lei che corriamo a perdifiato, con lei che ci identifichiamo, fino a lasciarla in un finale esemplare che ci commuove e lascia con la voglia di sapere cosa avverrà dopo ma con la certezza che la scoperta dell'amore sincero ha cambiato per sempre la sua vita e la sua percezione del mondo.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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