The Mist - recensione dell'horror di Frank Darabont
Arriva finalmente nelle sale un horror di valore, The Mist, tratto da un bel racconto lungo di Stephen King e diretto dal regista che ha saputo trasporre meglio al cinema le storie del maestro del Maine, Frank Darabont.
The Mist - recensione dell'horror di Frank Darabont
Era tempo che aspettavamo un film di genere che sapesse divertire e intrattenere il pubblico in quanto tale, e al tempo stesso trascendesse i limiti degli stereotipi dell’horror per diventare qualcosa di diverso, come accadeva ed accade, ad esempio, coi film di George A. Romero. Il racconto di King – inserito nella raccolta “Scheletri” – è un bellissimo spunto di partenza, ed una delle storie più lovecraftiane dell’autore. Un gruppo di varia umanità dopo una tempesta improvvisa quanto violenta si trova assediato, all’interno di un grande supermarket, da una nebbia scesa a valle dalle montagne, al cui interno si manifestano orribili creature da incubo.
Darabont trasporta visivamente sullo schermo questo mondo, senza rinunciare a calcare la mano sull’effetto shock e su quello che si aspetta e diverte l’appassionato di cinema dell’orrore. Ma va ben oltre, cambiando il finale della storia (con l’entusiastico consenso dello stesso King) e facendone un apologo disperato e pessimista sulla condizione umana in questo mondo. Gli assediati nel market siamo noi, oggi. Così come gli zombie romeriani, come ha sempre dichiarato il maestro di Pittsburgh, siamo noi. Darabont concentra l’attenzione sul paradosso tipico di questo genere di storie: i mostri sono fuori, ma quelli più pericolosi sono proprio quelli all’interno, che in condizioni estreme non tardano a balzar fuori. Gli uomini schiavi della paura e del pregiudizio sono pronti – come la cronaca di questi giorni ci dimostra - a scatenarsi con violenza sui propri simili. In modo non dissimile a quello che accadeva ne Il signore delle mosche di Peter Brook, l’umanità civilizzata regredisce fin troppo facilmente a uno stadio tribale. Qualcuno resta immune, certo. C’è dunque speranza ancora in questo mondo? Darabont ce lo fa credere, per poi beffarci nel finale.
I personaggi del film pronunciano frasi che non ci aspetteremmo di sentire in un film americano (e probabilmente qua passano proprio perché il genere è di fatto una zona di frontiera), e le situazioni estreme in cui si trovano i protagonisti della storia coinvolgono anche un bambino di 5 anni. Questo favorisce l’identificazione dello spettatore, che si lascia portare per mano nel gioco perverso degli autori fino ad arrivare là dove forse non avrebbe voluto andare. Alla fine, però, gli siamo grati per averci divertito, coinvolto e fatto riflettere ben dopo il termine del film.
Produttivamente curato, anche se il budget non è dei più elevati (si parla di 18 milioni di dollari), The Mist mette insieme un bel cast di caratteristi, e affida il ruolo principale a un Thomas Jane estremamente intenso e convincente, che si riscatta con questo film dalla partecipazione a un’altra trasposizione kinghiana, il mediocre L’acchiappasogni. Marcia Gay Harden è assolutamente odiosa e folle come il suo personaggio richiede, e il resto lo fanno le creature – fedelissime a quelle che appaiono nella storia – ideate e animate dai bravissimi veterani degli effetti speciali e del make-up Gregory Nicotero e Howard Berger.
Frank Darabont riesce perfettamente nel suo intento, e fa di The Mist - esplorando la crudeltà di una storia meno epica de Le ali della libertà e Il miglio verde - uno di quei rari film dell’orrore in grado di rendere migliore chi lo guarda.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità