The Lodge: la recensione dell'horror di Veronika Franz e Severin Fiala

15 gennaio 2020
2.5 di 5

La prima opera in lingua inglese degli autori di Goodnight Mommy ha suggestive atmosfere e belle immagini ma non convince per la narrazione confusa e per l'epilogo prevedibile.

The Lodge: la recensione dell'horror di Veronika Franz e Severin Fiala

Nell'epoca d'oro dell'horror inglese, Hammer era sinonimo di film sanguigni e accesi nei colori e nei contenuti, dove i canini di Dracula grondavano sangue vivo, affondando nelle carni di procaci bellezze. È quanto meno paradossale che oggi la sua moderna reincarnazione, che ne esibisce fieramente il marchio, sia sinonimo per lo più di atmosferici ma esangui horror psicologici. Non fa eccezione alla regola The Lodge, opera seconda, attesa con una certa curiosità, di Veronika Franz e Severin Fiala, autori a quattro mani del discreto esordio di Goodnight Mommy, dove si esplorava il tema del doppio in modo affascinante, per quanto non del tutto risolto.

Per il loro debutto in lingua inglese, purtroppo, si sono affidati ad una sceneggiatura, scritta con Sergio Casci, che accumula i più disparati (e pesanti) elementi su una trama fragile, citazionista e inerte, a cui le suggestive immagini non riescono a conferire un sufficiente spessore. Sembra di trovarsi nel territorio degli ambiziosi pastiche di Ari Aster: la crudeltà dell'inizio, col dolore straziante e il lutto per la perdita di una persona cara ricorda quello di Midsommar, mentre la casa di bambola che riproduce l'azione del film sembra un rimando a Hereditary. Se queste somiglianze possono considerarsi casuali, non lo sono i riferimenti espliciti alla paranoia de La cosa di John Carpenter, che i protagonisti vedono in tv, e a Shining con la tempesta di neve, l'isolamento in un luogo apparentemente ostile e un cane che si chiama... Grady.

L'ambientazione analoga allude a tematiche simili: la paranoia di tre individui estranei (ma molto più simili di quanto immaginino), bloccati in un luogo buio e ostile dalla furia degli elementi. E chi conosce i classici penserà sicuramente anche ad Angoscia con Ingrid Bergman e Piano... piano, dolce Carlotta con Bette Davis. Ma il citazionismo, se indirizzato a uno svelamento originale, può avere un senso e non è in ogni caso il difetto principale del film. Sono altri gli elementi che inficiano la bellezza delle immagini e la qualità delle performance (specialmente quella di Riley Keough). Uno dei punti deboli è la mancanza di approfondimento del personaggio del padre (dei padri, a ben vedere), figura poco credibile di uomo egoista e irresponsabile che è il catalizzatore non di uno ma di due drammi e che gli autori lasciano ambiguamente sospettare sia responsabile di quel che succede, mettendo a dura prova la canonica sospensione dell'incredulità: chi, per quanto stupido e insensibile, sei mesi dopo la morte della moglie costringerebbe i figli contro la loro volontà a trascorrere in un cottage isolato in pieno inverno qualche giorno da soli con la nuova fidanzata, che non conoscono e che ritengono responsabile della loro infelicità, ed è per giunta unica testimone/sopravvissuta al suicidio di massa/massacro di una setta alla Jim Jones? Quale uomo in procinto di sposarsi di nuovo non si accorgerebbe che l'apparente benessere della compagna dipende dagli psicofarmaci che a sua insaputa sta assumendo e le affiderebbe una pistola senza stupirsi nella sua abilità nell'usarla?

Tanta banalità contrasta con la complessità di una costruzione ambiziosa che lascia sperare in un epilogo meno scontato. Fiala e Franz insistono per tutto il film sull'iconografia religiosa cristiana e aggiungono il sospetto del soprannaturale allo sfondo in cui si muovono personaggi che sono puri simulacri senza un vero sviluppo psicologico. Certo, c'è anche l'ipotesi – impossibile escluderla - che i veri protagonisti siano i pupazzi nella casa delle bambole che compiono le azioni dei loro corrispettivi umani prima ancora che questi le abbiano pensate. Ma arrovellarsi ulteriormente su un film da cui ci aspettavamo, se non altro, un ulteriore progresso rispetto a Goodnight Mommy, ci sembra veramente eccessivo. Del resto nella logica di un horror non tutto - inclusa la delusione di un critico - deve necessariamente avere una spiegazione.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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