The Killer: la recensione del remake del film di John Woo diretto da... John Woo
Trentacinque anni dopo aver diretto, a Hong Kong, il suo capolavoro, il regista firma un rifacimento che adegua l'originale ai canoni e all'ideologia del cinema contemporaneo. La recensione del nuovo The Killer di Federico Gironi.
Dal 1989 sono passati trentacinque anni. In trentacinque anni il cinema è cambiato, il mondo è cambiato, lo stesso John Woo è cambiato. Inevitabile, quindi, che il nuovo The Killer sia un film molto diverso da quello originale, pur nella continuità e nella riproposizione di modelli, trame, figure e situazioni. E non si tratta di sottolineare come teatro delle vicende non si sia più Hong Kong, ma Parigi, o che al posto di Chow Yun-fat, uomo, ci sia Nathalie Emmanuel, donna. O di andare a vedere come tra quest’ultima e il personaggio di Omar Sy, il poliziotto parigino che sostituisce il personaggio interpretato da Danny Lee, si venga a creare una relazione che è molto diversa da quella tra Jeff e l’ispettore Li nel film originale.
La questione - come poi sempre dovrebbe essere, quando si parla o si scrive “criticamente” di un film - non è poi nemmeno quella di andare a stabilire se questo The Killer del 2024 sia all’altezza del The Killer di allora (spoiler: non lo è, e non avrebbe potuto essere altrimenti).
La questione è quella di capire se John Woo ha comunque tirato fuori dal cilindro un film valido (spoiler: a modo sui, sì), e ancora di più se questo film è in grado di dire delle cose interessanti sul suo presente, sul presente di Woo, e del cinema tutto (ancora una volta, sì).
Vorrei allora partire da uno dei punti forse meno riusciti del film. Da una sequenza in cui Woo - o forse meglio dire i suoi sceneggiatori - fanno compiere alla sua protagonista, Zee, uno dei gesti più scontati e abusati nel cinema d’azione da alcuni decenni a questa parte: impadronirsi d’impulso di una moto non sua per poter sfrecciare nel traffico parigino e arrivare lì dove deve arrivare (un ospedale, e chi ha visto il The Killer originale sa cosa questo possa significare) prima di qualcun altro.
Ora, il problema non sta nella trita banalità dell’artificio narrativo, né nella qualità della messa in scena - perché tutto sommato anche qui, come nel resto del film, nel modo in cui gira l’azione Woo mangia ancora in testa alla stragrande maggioranza dei registi contemporanei - quanto nel fatto che, complice la scelta di far della moto in questione una moto elettrica, senza rombi né rumorosità ma con un sibilo gicattolesco. Con tanto di tachimetro digitale che a tratti svela impietosamente la finzione del cinema.
Non è un riflesso novecentesco, il mio. È che quella scena così realizzata, è davvero la cartina al tornasole della volontà di aggiornare tutto quello che il The Killer di una volta è stato a un cinema e a un mondo nuovi. Un cinema che, c’è poco da fare, è assai più artificioso, plastificato, virtualizzato di quello di un tempo. E in quella scena, che pure Woo riempie di analogicissimi e concretissimi stunt, con tanto di automobili distrutte, ce lo sta mostrando apertamente.
Tutto il nuovo The Killer è decisamente più virtualizzato, astratto, incorporeo dell’originale. Non si tratta solo della dimensione fisica e carnale, di un’azione che è elegante e spettacolare e a tratti sorprendente, ma nella quale i corpi e i colpi appaiono mera proiezione, una rappresentazione post post-moderna che non è da rapportare, come banalmente si fa per film di questo genere, al videogame, quanto a un cinema sempre più bastante a sé stesso.
L’astrazione del nuovo The Killer si fa sensibile anche, e soprattutto, nella chiara decisione di Woo - o forse della sua serena accettazione - di abdicare a ogni forma di pathos, di epica e di sentimentalismo estremo che erano invece alla base del suo capolavoro del passato. Sostanzialmente assente è anche il melodramma, mentre è - guarda un po’ - una certa quale ironia a fare da sottofondo a buona parte del racconto.
Da questo punto di vista la trasformazione del rapporto tra il personaggio del killer e quello del poliziotto, che ha più i toni esasperati e vicini all’omoerotismo del primo film, ma che, trasposto nei personaggi della Emmanuel e di Sy, non solo non ha alcuna sfumatura erotico-sentimentale, ma si declina in una sorta di beffarda rivalità che poi diventa una curiosa quasi-amicizia fondata sul rispetto e l’ammirazione delle recipriche doti professionali.
Sarà che il tempo e l’esperienza hanno portato con loro il disincanto, sarà la Francia che fa subito un po’ produzione EuropaCorp, ma l’impressione è che Woo, del suo film di una volta, oltre alla maestria tecnica ha voluto riprendere solo gli aspetti più lievi, e che con grande pragmatismo sia stato del tutto consapevole, senza che questo lo inibisse, della sostanziale inutilità dell’operazione, della sua natura squisitamente simbolica, allorché commerciale.
Libero quindi da troppe ambizioni, Woo si è con tutta evidenza sentito libero di divertirsi, col cinema, col movimento, con la storia e con i personaggi. La cosa bella è che, a dispetto di quanto spesso accade in film che, sotto la postmoderna ironia, si prendono un po’ troppo sul serio, è che qui, in questo nuovo The Killer, il divertimento di Woo e dei suoi attori diventa anche il nostro.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival