The Boogeyman, la recensione dell'horror ispirato al racconto di Stephen King
Gli sceneggiatori di A Quiet Place portano (e modificano sensibilmente) al cinema The Boogeyman, racconto di Stephen King. Intrigante metafora oppure ordinaria amministrazione? La nostra recensione.
Dopo la perdita dalla mamma, la vita della liceale Sadie Harper (Sophie Thatcher) e della sua sorellina Sawyer (Vivien Lyra Blair) è sconvolta, né il babbo Will (Chris Messina) è d'aiuto, psichiatra che non riesce a elaborare il proprio lutto. Quando Will accetta di visitare senza appuntamento un tormentato individuo di nome Lester Billings (David Dastmalchian), non sa di aprire le porte a una presenza inquietante. Sawyer sarà la prima ad avvertirla...
Stephen King aveva scritto il racconto "Il baubau" nel 1973, facendolo poi confluire nella sua raccolta "A volte ritornano" ("Night Shift", 1978). L'opera fu già adattata, con sceneggiatura cofirmata dallo stesso King, in un mediometraggio del 1982. Viene ora ripresa dalla coppia di A Quiet Place, cioè Scott Beck e Bryan Woods, autori del copione con Mark Heyman, nonché produttori di questo The Boogeyman affidato alla regia di Rob Savage. Partendo dalle premesse assai stringate del racconto originale, incentrato sulla citata seduta e poco più, Beck e Woods devono puntare a espandere una situazione (come spesso accade in King pure beffarda) in una vicenda più articolata, lunga e furbescamente aperta a eventuali sequel. Dal punto di vista produttivo la strategia ha senso, ma in questo caso s'accompagna a una riuscita artistica assai modesta.
Per tutta la visione abbiamo sperato che le potenzialità metaforiche della storia potessero prima o poi imporsi: è suggestiva l'idea del "boogeyman", del "baubau" che perseguita chi è traumatizzato e soffre emotivamente, trovando terreno fertile per rafforzarsi finché le vittime non decidono di riaprirsi alla vita. Il problema è che queste potenzialità sono tenute a freno ed evaporano man mano che il film procede, sacrificate in favore di una minaccia mostruosa, una presenza disgustosa e aggressiva molto tangibile, non poi tanto difforme dagli alieni di A Quiet Place. In buona sostanza, formulaica. I protagonisti non mostrano alcuna vera ambiguità, il che porta a uno scontro bene/male troppo rigido: il tema quasi identico aveva ricevuto una chiave diversa e più inquietante (non solo orripilante) in Babadook, qualche anno fa.
Savage gestisce bene qualche "jumpscare" di rito, però persino lo spettatore meno esperto di horror ammetterà che anche la goliardica scuderia di James Wan, con mezzi analoghi se non inferiori, riesce a essere un po' più personale, divertita e caratterizzata nella gestione delle tipiche situazioni di genere.
L'allestimento, le scelte stilistiche, le inquadrature, la chiave interpretativa non si ricordano, lasciando la sensazione di aver assistitito a una timbrata di cartellino di essenziale professionalità tecnica, dove alla chiave di lettura non sembra venir data la giusta importanza... e dove c'è sempre la sensazione che, al di là dell'elaborazione del lutto, con un mostro niente funzioni meglio delle più scontate botte da orbi.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"