Terrifier 3: la recensione del nuovo film con Art il Clown

04 novembre 2024
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Crescono le ambizioni di Damien Leone, che vorrebbe creare un universo narrativo, ma tutto quello che conta sono, come al solito, le uccisioni. La recensione di Terrifier 3 di Federico Gironi.

Terrifier 3: la recensione del nuovo film con Art il Clown

C’era una volta un cortometraggio, in cui appariva un clown ghignante, sinistro e sanguinario, con inclinazioni sataniste. Art, si chiamava. Colpì l’immaginazione degli spettatori, tanto da convincere il suo autore, un giovane appassionato di horror di nome Damien Leone, che valeva la pena investire su di lui. Che bisognava portarlo al cinema, facendone il protagonista di un lungometraggio. Anzi, no: di una serie di film. Il resto della storia la conoscete.
Costato due milioni di dollari, Terrifier 3 ne ha incassati, mentre scrivo queste righe, più di 63 in tutto il mondo. Da noi ha portato a casa un milione e mezzo di euro solo nella notte di Halloween, quando è stato proiettato in anteprima. Il fatto è che Art e Leone hanno capito cosa vuole il pubblico, cosa bramano gli appassionati di (un certo genere di) horror: e qui sta tutto il bene e tutto il male del film della serie.

L’horror - come ci ricorda il bel libro dedicato al genere da Pier Maria Bocchi che si intitola “So cosa hai fatto” - è un genere vitale, pulsante, anarchico, attento e abile nel raccontare - meglio: nel rispecchiare - cosa sta succedendo nel nostro mondo, dove stia andando la società, cosa passi nell’inconscio degli individui. Ma siccome Leone non è né Cronenberg né Carpenter, ma nemmeno un Mike Flanagan, o perfino un David Slade, non è che Terrifier 3, che non presenta novità di rilievo rispetto a quanto mostrato da Art nei due capitoli precedenti, e che ha l’ambizione di portare avanti una sorta di mitologia interna alla serie e ai personaggi, abbia granché da dire sul presente.
E se ce l’ha, non è particolarmente cosciente della cosa (ma questo poco importa) e soprattutto non dice cose particolarmente lusinghiere su sé stesso i suoi spettatori.

La trama, se di trama vogliamo parlare, importa poco o nulla, con buona pace di Leone. Conta che Art torna da ovunque è che dovesse tornare, e che per tornare a tormentare Sienna e suo fratello, e che strada facendo per arrivare a loro seminerà morte ovunque, e nei modi più truculenti, sanguinosi e sadici possibile. Conta, quindi, che Art superi sé stesso e trovi metodologie omicide sempre più (perversamente) fantasiose: qui si parla già da tempo di una scena che coinvolge una coppia che amoreggia sotto la doccia, Art e una motosega, con tanto poi di angelo della neve col sangue al posto della neve fatto da un Art vestito quasi tutto il tempo da Babbo Natale; e c’è poi una scena che sembra quasi citare uno dei momenti più scioccanti di “American Psycho” di B.E. Ellis, in cui cambia solo un orifizio d’ingresso.

Cos’ha allora da dire Terrifier 3 sul presente? Certamente che Art e i suoi eccessi gore sono arrivati nel momento giusto e hanno colmato un vuoto che una certa frangia di fan dell’horror desiderava vedere da anni (sul perché, c’è da interrogarsi, ma comunque). Certamente che questi film, che hanno dalla loro tutta l’irriverenza e l’incoscienza delle produzioni indie, e che quindi non hanno faticato granché a trovare spazio in un mercato dominato dalle plastificate produzioni dei vari Jason Blum di turno da un lato, e dal cosiddetto “elevated horror” dall’altro.
Perché - e qui sta il punto - tutto questo conferma e dimostra come Terrifier sia una serie nata, pensata e cresciuta per i fan più accaniti e ossessivi: per i tipi da convention, da cosplay, da cameretta coi poster e i pupazzetti.
Per quelli, insomma, che sono sempre lì a un passo dal diventare coloro con i quali se l’è presa di recente, in un articolo pubblicato sul Guardian e in alcune interviste, perfino Alan Moore, proprio l’Alan Moore di Watchmen e di From Hell, che ha parlato di un fandom che alla lunga può essere eccessivo, infantile, e dannoso, se non potenzialmente pericoloso, nella sua assenza di spirito critico e nel suo assolutismo.

Ora, drammatizzare qui non ha senso. Perché, esattamente come i suoi precedenti capitoli, Terrifier 3 di certo non è dannoso né pericoloso. Anzi, a suo modo sa anche essere divertente.
Il rischio - tutto cinematografico - che corre questa saga, è quello di far propri i difetti dei fan più accaniti, e di perdere prospettiva e misura nei confronti di sé stessa e del cinema. E quindi di diventare ancora più innocua, ancora più standardizzata, alla fine dei conti simile a quei prodotti dai quali sembra differenziarsi così tanto, nel contesto di un mondo dove l’abbondanza di immagini atroci e atrocemente reali sembra anestetizzare lo spettatore e condurlo al tempo stesso verso gli eccessi dell’ultraviolenza ultrafasulla di Art.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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