Tenet: recensione del film diretto da Christopher Nolan

25 agosto 2020
3.5 di 5
42

Il regista britannico Christopher Nolan in Tenet, con John David Washington e Robert Pattinson, si fa prendere dal gusto per lo spionaggio oltre che dalla consueta ossessione per il tempo in un film che colpisce per la sua dimensione visiva.

Tenet: recensione del film diretto da Christopher Nolan

È tempo di salvare il mondo, di nuovo, per Christopher Nolan. Il tempo rimane una sua ossessione chiave, come dimostra la sua filmografia, specialmente quella recente, ma in Tenet si sfumano le priorità e l’inversione temporale, il vagare avanti e indietro fra passato e presente, con il corollario di conseguenze cruciali nel suo avanzamento lineare, lascia intravedere qualcos’altro. Una dimensione diversa, meno predicatoria e magniloquente: quella del gioco. A sorpresa, infatti, Tenet è in fondo uno dei film in cui Nolan si prende meno sul serio. Dopo aver salvato il mondo con il (vero) sangue e coraggio di milioni di soldati in Dunkirk, qui mette in scena una lotta quasi personale fra il Protagonista, con un pugno di suoi complici, e un cattivo declinato, in maniera liberatoria, al singolare. 

Il Nolan di Tenet è interessato all’illusione, al trucco, al punto che ci sembra The Prestige il suo lavoro più affine, nonostante tutte le speculazioni latine su Tenet o gli spiegoni che si alternano a ritmo frenetico, che non sono altro che la cortina di fumo dell’illusionista all’opera per distrarre lo spettatore, distogliendolo dalla sua vera intenzione. Per farlo si affida al più trasformista dei generi, lo spionaggio, in cui niente e nessuno è quello che sembra, in cui per definizione è tutto un trucco e un inganno. Tanto quanto un numero di magia è riuscito se il pubblico non si accorge del trucco, l’intervento del Protagonista e del suo strano corpo speciale è efficace se il mondo non saprà mai che sono intervenuti. La croce e delizia di ogni agenzia di intelligence che si rispetti. 

Tenet è ambientato in una specie di mondo parallelo in cui presente e passato si invertono e si alternano, con Nolan che si diverte a salvare il mondo dal cattivo, che non riesce a portare avanti fino in fondo i suoi piani perché beffato da una malattia ben poco atemporale come il cancro. Se non può vincere la partita lui, allora che salti in aria il tavolo da gioco, quello presente, passato e futuro. Se questo nemico ha le fattezze del solito geniale Kenneth Branagh, capace di passare dallo struggente ufficiale salvatore di Dunkirk al capriccioso miliardario simil Spectre, il vero antagonista che vuole la fine del mondo, “peggio di un olocausto nucleare”, è un algoritmo. Un maledetto compagno e antagonista della vita quotidiana di noi tutti nell’era digitale. Non stupisce in fondo che lo ritenga tale proprio uno degli ultimi difensori dell’analogico, della pellicola, dell’effetto reale contro quello generato al computer. Lo dimostra anche in Tenet, regalandoci lo sbalorditivo sacrificio di un gigantesco (e reale) Boeing 747.

Nonostante tutto, non si smentiscono la difficoltà di Nolan a costruire motivazioni umane capace di generare coinvolgimento nello spettatore; qui la dimensione è appunto quella della meraviglia, dello stupore  visivo, ma non c’è traccia o quasi di empatia per i personaggi, le loro imprese o il loro destino. Sono pedoni all’interno di un gioco più grande di loro, nonostante il tentativo di inserire il calore di una mamma in lotta per il proprio figlio, che rimane però abbozzato. “Occultare e mentire”, sono queste le parole chiave che guidano le azioni e le parole dei protagonisti del film, a parte un'unica iniziale eccezione. Un momento da manuale illustrativo, in cui la scienziata Clémence Poésy spiega rapidamente le regole del gioco e molto chiaramente invita il protagonista a non “cercare di capire”. È fin troppo evidente che diventa un invito rivolto anche a noi che guardiamo, a farci coinvolgere dal gioco e dal divertimento, godendoci l’intrattenimento senza troppo stare a memorizzare frasi di raccordo o qualche salto temporale o logico di troppo. Sappiamo di non sapere, siamo autorizzati anche da mago Nolan.

C’è anche spazio a dell’ironia, inevitabile quando si parla di spie, con Michael Caine che in un gustoso piccolo ruolo si sente rinfacciare “voi inglesi non avete il monopolio dello snobismo” dall’americanissimo protagonista, John David Washington. Parlando degli attori, l’interprete lanciato da Spike Lee in BlacKkKlansman se la cava egregiamente, come anche Robert Pattinson, mentre il carisma e il talento di Elizabeth Debicki, qui in un ruolo molto simile a quello di The Night Manager, ci sembrano davvero sempre più da stella assoluta.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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