Synecdoche, New York - la recensione del film di Charlie Kaufman con Philip Seymour Hoffman
L'opera prima del geniale sceneggiatore arriva finalmente nelle sale italiane.
Una sineddoche è una figura retorica. E' la parte per il tutto, quando ad esempio diciamo uomo e intendiamo l'intera umanità. E' una parola che suona difficile ed esotica come Schenectady, la città nello stato di New York da dove proviene Caden Cotard, il regista teatrale protagonista del film, e che è anche il tema della (splendida) canzoncina cantata sui titoli di testa dalla sua bambina. Come sempre, anche stavolta le geniali invenzioni di Charlie Kaufman partono dal titolo, nella lingua al tempo stesso segreta e rivelatrice dell'inconscio.
Synecdoche, New York è un film tanto ricco, complesso e colmo di citazioni e riferimenti al teatro, alla letteratura e alla psicanalisi, che potrebbe risultare irritante se tutto questo non fosse inserito in una storia in grado di coinvolgerci. E Kaufman, tessitore sapiente, ci cattura nella sua ragnatela senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il merito va alla grande qualità della sua scrittura ma anche alla capacità di concretizzarla in affascinanti suggestione visive. In quale film, ad esempio, abbiamo mai visto una donna che vive in una casa che va letteralmente a fuoco? E' insieme un'immagine che rimanda a una citazione di Tennessee Williams e che esemplifica alla perfezione un concetto: ogni nostra scelta ha delle conseguenze logiche, anche se spesso preferiamo ignorarlo.
All'inizio del film l'atmosfera è quasi realistica: Cotard è un regista teatrale di successo che mette in scena un allestimento di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, con attori giovani. E' un dramma che parla di rapporti tra padri e figli, di speranze e ambizioni frustrate, tutti temi che si riverberano sulla sua vita. Ma anche se la professione va a gonfie vele, il corpo lo tradisce e si copre di pustole, le sue deiezioni assumono colori assurdi e gli accadono strani incidenti. Perfino i medici sembrano convinti che abbia una malattia grave. Quando la moglie - un'affermata pittrice che da tempo non lo ama più - lo lascia per un periodo che diventa permanente, andando a vivere a Berlino con la figlia, Cotard entra in uno stato di negazione e non distingue più cosa è reale dalle allucinazioni dettate dal suo senso di colpa. Il fragile piano di realtà su cui camminava si infrange definitivamente e lo precipita in un mondo in cui il tempo scorre in modo differente.
L'unico scopo della sua vita, dopo il fallimento della relazione con altre due giovani donne, diventa l'allestimento di un'opera di proporzioni gigantesche: metterà in scena la propria vita mentre accade e come accade, con attori che interpretano lui e le persone che lo circondano in una New York ricreata pezzo dopo pezzo, con scenografie da studio cinematografico in un enorme spazio coperto. Attori e personaggi si mescolano, il mondo ricreato sostituisce il vero e la vita si riproduce, con tutte le sue tragedie, come una coltura di microbi in laboratorio.
In questo mondo iperreale in cui il tempo scorre veloce quasi a sua insaputa, Caden invecchia con la sua irrappresentabile opera, rendendosi conto solo alla fine, da sopravvissuto, di aver atteso invano il suo Godot. Synecdoche, New York è la storia della crisi di un artista, il sogno di una vita che assomiglia alla famosa favola raccontata da un idiota. Parla della fragilità delle ambizioni umane, dei nostri invalicabili limiti, delle costrizioni del corpo e dei voli pindarci dell'anima. Parla dell'unica certezza del nostro percorso: per quanto siano diverse le strade che prendiamo per arrivarci, la meta è uguale per tutti.
Siamo tutti attori in cerca di un regista nel mondo di Kaufman, protagonisti volontari del suo circo dell'assurdo. In questa pellicola dal fascino ipnotico, forse triste ma mai deprimente, l'autore sceglie il complice migliore che potesse trovare: Philip Seymour Hoffman – un gigante della recitazione, che non finiremo mai di rimpiangere – onora per l'ennesima volta la sua arte, esprimendo senza pudori il dolore dell'anima e l'imbarazzo del corpo di un personaggio così (im)perfettamente umano.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità