Suzume: la recensione dell'anime di Makoto Shinkai presentato in concorso alla Berlinale

23 febbraio 2023
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Una ragazza e una sedia rotta in giro per il Giappone per salvarlo dalla catastrofe. Un'avventura magica e colorata, toccante e dalla rilevanza sul lutto nazionale per lo tsunami del 2011. La recensione di Mauro Donzelli del film di Makoto Shinkai.

Suzume: la recensione dell'anime di Makoto Shinkai presentato in concorso alla Berlinale

Cosa lega un’adolescente, un gattino, una sedia senza una gamba e la tragedia di Fukushima? Due ore giuste giuste e l’anime del maestro più visivamente virtuoso del genere, Makoto Shinkai, ve lo svelerà con uno spettacolo davvero appagante. Se è (quasi) sempre un viaggio dell’eroe a caratterizzare l’animazione giapponese e il cinema dell'autore di Nagano, in Suzume ci mettiamo belli comodi a seguire proprio lei, 17 anni e proveniente dall’estremo sud, la lussureggiante isola del Kyushu, in quella prefettura di Miyazaki che fa scattare subito un sorriso deliziato agli amanti dell’anime. Da lì ci si avventura praticamente in tutte le isole del Giappone, passando per Tokyo e Fukushima, suggellando con una riuscita sutura cinematografica del terribile lutto collettivo legato al terremoto e allo Tsunami che ha poi causato il disastro nella centrale nucleare

Una data, 11 marzo 2011, che appare a un certo punto della narrazione e, secondo il regista, nello stesso Giappone a molti non fa scattare niente in mente, specie ai più giovani all’epoca troppo piccoli, il pubblico principale a cui questo film da 100 milioni di dollari di incasso in patria è rivolto. Davvero non male, ma parliamo di un autore come Makoto Shinkai adorato dal pubblico, detentore con Your name del terzo maggiore incasso di tutti i tempi per un anime con quasi 400 milioni di dollari nel mondo.

Un viaggio che parte da un affascinante giovane, poco più grande di Suzume, che sta cercando una porta. I due si incontrano e dovranno salvare il Giappone dal disastro, mentre la terra trema e nel cielo si stagliano violenti mostri rossi. La ragazza ha la sensibilità giusta per cogliere il soprannaturale dietro allo sconvolgimento e ha il coraggio di chi è cresciuta orfana, solo con la zia, e la madre rimasta solo un ricordo. L’elaborazione di un lutto privato diventa collettivo, fra l’instabilità di una sedia senza una gamba e quella di un Paese abituato a tremare, ma ancora nella memoria la sciagura di poco più di dieci anni fa, non diversa rispetto a quelle che l’hanno colpita nei secoli.

Un archetipo classico come quello della porta da (non) attraversare, terreno di comunicazione fra luoghi e tempi diversi, scandisce questa storia di formazione che conferma il grande talento visivo di Makoto Shinkai, la capacità di creare personaggi secondari ognuno con una propria dimensione piena, che siano divertenti o maliziosi, di supporto o incontri casuali.

Sullo sfondo di un Giappone luminoso e cupo, con una natura varia e splendida, attraversando ogni condizione meteorologica e stato emotivo, Suzume rappresenta uno spettacolo pienamente soddisfacente, metaforico e rocambolesco, capace di commuovere e divertire, talvolta nello stesso momento. Semplice e allo stesso tempo capace di sintesi di dinamiche stratificate nel tempo e nella memoria collettiva, di aprire spiragli di speranza senza negare l’inevitabile conflitto, il lutto da superare partendo da una presa di coscienza. L’animazione giapponese al suo meglio, insomma, rinnovandone la portata anche in Europa tornando in concorso alla Berlinale a vent’anni di stanza da La città incantata di Miyazaki.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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